sabato 13 giugno 2015

Derby della Mole? Per le bestie avevamo uno zoo: riapriamolo!



C'era un tempo in cui a Torino - la nostra Torino - gli animali stavano in gabbia. Era il 20 ottobre 1955, quando il Sindaco Amedeo Peyron tagliava il nastro del primo ed unico giardino zoologico in città: noto in gergo come ''al Parco Michelotti''. 
Pachidermi, felini, scimmie e serpenti. Anche due rarissimi rinoceronti indiani, cacciati in patria a causa del proprio ed unico corno. Non tutti lo sanno ma ai tempi gli indigeni sostenevano che la polverina (inebriante) derivata dal corno dell'animale avesse la capacità di donare all'uomo - se ingerita - qualche forma particolare di super potere. 
Credenze a parte, ben presto la struttura diventa insostenibile per la città. Se ne vanno i leoni, se ne vanno i rettili. Via anche i 1353 pesci rari. Restano i due rinoceronti indiani, più rari e soli che mai. Il 22 marzo 1987 la Città' apre tutte le gabbie e anche i due paffuti mammiferi imboccano la via per Zagabria. 
A noi restano le inferriate con ancora le serrature, le chiavi e i lucchetti ben funzionanti. E visto che le nostre carceri sono sempre 'troppo piene', ecco che dopo gli ultimi fattacci avvenuti nel Derby della Mole, ci viene in mente un'idea, forse una provocazione, ma visti i tempi che corrono un tentativo lo si potrebbe anche fare: avevamo un Zoo, riapriamolo. E mettiamoci dentro le bestie.  
Non i rinoceronti, i leoni o gli elefanti e via dicendo. No, loro stanno bene nel proprio habitat, in mezzo alla natura. Mettiamoci dentro quegli esseri indefiniti e indefinibili. Mezzi uomini, ominicchi, anzi. Quei quaquaraquà che con somma codardia si nascondono in mezzo alla folla e trasformano una giornata di sport (e di festa, la vittoria mancava da 20 anni) in una lotta armata, che neanche negli anni di piombo. 
''Il mio consiglio è stato: mi raccomando, la prima non deve essere una torcia, che crea scompiglio, ma una BC (bomba carta, ndr). Se fosse stata lanciata una torcia, si vanificava tutto”. Queste le parole proferite con grande soddisfazione agli amici-animali da tale 'non tifoso', dopo il fattaccio. Frasi intercettate che hanno permesso alla polizia di arrestare l'attentatore.  
Era già stato 'bannato' dalla società bianconera, la quale non gli ha permesso di comprare il biglietto per la partita. Era inserito in un gruppo di WhatsApp denominato 'Cani sciolti'. Pseudonimo perfetto per gli animali presenti. Per le bestie che ora dovrebbero tornare in gabbia. O almeno restare chiusi in cella. In ogni caso, basta che non tornino in mezzo a noi. Avevamo uno zoo, riapriamolo e infiliamoci dentro certi individui. Lasciamo che la gente possa osservarli incuriosita, andiamo noi la domenica a tirargli le noccioline e le banane, mentre loro stanno lì, legati per il collo, messi alla berlina. Perché è così che si fa con certe bestie, è così vanno trattati certi animali. 
Loro con noi non centrano nulla, loro non meritano di stare nella nostra società: non ne hanno diritto. Scusate l'espressione forte: certi individui, non sono nostri pari.
 

venerdì 12 giugno 2015

Samantha Cristoforetti: da De Luca a Fedez, cosa si è persa in questi 200 giorni



Back on earth. Samantha Cristoforetti è tornata sulla Terra. E presto rimetterà piede anche in Italia. Cosa l’aspetta, a parte le ospitate da Fazio, i selfie con Renzi e le marcette con Mattarella? Vediamo prima a che punto della telenovela italica era rimasta. Il primo giorno che il capitano Cristoforetti ha passato sulla stazione internazionale Iss, era il 24 novembre dell’anno scorso, i quotidiani nazionali aprivano le prime pagine sulle elezioni regionali. “Lo schiaffo dell’astensione”, il titolo del Corriere della Sera. “Fuga dalle urne”, quello di Repubblica. Il Pd conquista Emilia Romagna e Calabria, ma il vero trionfatore di queste Regionali è l’astensionismo: “Alle urne solo il 40%. Bonaccini e Oliverio sono i nuovi governatori di centrosinistra. E la Lega di Salvini doppia Forza Italia, scesa sotto il 10%. Malissimo anche il M5S”. Il Sole 24Ore si occupa invece delle cene di Renzi con cui è partito il futuro del finanziamento dei partiti, dopo che l’apporto di aiuti statali si andrà gradualmente riducendo con l’abolizione dei rimborsi elettorali. Caccia ai fondi: dalle serate a tavola al crowdfunding via internet o con sms. Perché – scriveva sempre il quotidiano di Confindustria – dal 2017 le formazioni politiche dovranno provvedere totalmente in proprio al loro sostentamento. “Le cene a mille euro a persona – spiegava quel 24 novembre il tesoriere del Pd, Francesco Bonifazi – sono la punta di un iceberg”.
Sono passati duecento giorni. Samantha venerdì è tornata sul pianeta, atterrando con la Soyuz in Kazakistan, e quando rientrerà in patria troverà tutto come l’ha lasciato. O quasi. Alle ultime elezioni regionali l’affluenza si è fermata poco sopra al 50%: solo un elettore su due è andato a votare, complice forse il ponte del 2 giugno e la disaffezione alla politica. Il centrodestra ha conquistato il Veneto con Zaia e, a sorpresa, la Liguria con Toti. De Luca si è preso la Campania. Per Renzi è stato un mezzo stop, per Berlusconi una mezza vittoria. Crescono M5S e Lega.  Quanto al finanziamento dei partiti, dalle carte dell’inchiesta su Mafia Capitale spuntano alcune intercettazioni di Salvatore Buzzi, il capo della cooperativa al centro dello scandalo: per partecipare alla cena con Renzi la sera del 7 novembre 2014 al Salone delle Tre Fontane di Roma “ho versato 15 mila euro al Pd e 5 mila alla Leopolda”.
Tutto uguale a quando è partita. Anzi peggio. Che noia lasciare le stelle per tornare a leggere i titoli dei giornali sulle stalle giudiziarie e sullo stallo della politica, povera Samantha. E che responsabilità: all’inizio di aprile Matteo Renzi l’aveva chiamata sull’Iss: “Torni presto, l’aspettiamo per costruire un’Italia migliore del passato”, le aveva detto il premier collegato da Palazzo Chigi dichiarandola così “embedded” in missioni assai più complicate degli esperimenti sulle nanotecnologie o sulla preparazione del caffè in assenza di gravità. Certo, nel frattempo potrà distrarsi con il dibattito sulle notti brave di Fedez o sulla “fatwa” lanciata da Umberto Eco contro i social network. Ma basterà? Perché a vederla da lassù l’Italia è bella. Ma a viverci pare il manicomio dell’universo.  E come cantava Rino Gaetano, il cielo è sempre più blu.

mercoledì 10 giugno 2015

Padania a Europei popoli non riconosciuti Esordio? Contro la nazionale dei Rom



Agli Europei di calcio ConIfa (la federazione calcistica cui sono affiliati gli stati non riconosciuti, le minoranze etniche e linguistiche e i popoli senza stato) che si terranno a Debrecen, in Ungheria, dal 17 al 21 giugno la nazionale dell’immaginario territorio padano è stata inserita nel girone con Abkhazia, Isola di Mann e Rom. La partita inaugurale sarà proprio tra Nazionale della Padania e la Nazionale dei Rom: una nemesi storica per la squadra il cui politico di riferimento Matteo Salvini non manca ogni giorno di insultare Rom e Sinti. Per non parlare della mitologia delle ruspe con cui vorrebbe radere al suolo i loro insediamenti. Prima di cadere nei peggiori stereotipi, e di definirli più volte come “dei rompicoglioni”, il team manager della squadra Fabio Cerini, sentito da ilfattoquotidiano.it, dice: “Non entreremo in campo con le ruspe ma con un mazzo di fiori e un gagliardetto, come prima di ogni incontro”. E poi tiene a precisare come la squadra non sia più affiliata al partito.
“Dopo la bufera della Lega e l’abbandono della famiglia Bossi la Nazionale della Padania è stata ricostruita da un gruppo di tifosi – continua Cerini -, ovvero da me, Alberto Rischio (direttore europeo della ConIfa, che sul sito del club è definito libero professionista ndr.), Ivan Orsi (gerente del Centro Sportivo, ndr.) e John Motta (che appare come Business Development Manager Oil&Gas per la Russia, en passant grande sostenitrice della Lega Nord ndr.), facciamo tutto da soli con l’aiuto degli sponsor, per la trasferta di Debrecen il budget è di 7mila euro”. Finiti i tempi delle vacche grasse per la squadra che serviva a Renzo Bossi, che ne era team manager, per alimentare le sue manie di grandezza: non si badava a spese (la spedizione in Lapponia per i mondiali del 2008 costò almeno 100mila euro) per convincere ex giocatori di Serie A come Ganz, Piovani e i fratelli Cossato a farne parte, e per vincere così tre Mondiali su tre partecipazioni. La squadra non chiedeva da dove venissero i soldi e i rimborsi spese, il Trota alloggiava in meravigliosi castelli da mille e una notte, tra saune e tappeti rossi.
Ma nonostante quei tempi siano lontani, i legami con la Lega Nord non sembrano recisi del tutto. I dirigenti sono tutti sostenitori del Carroccio, il team manager Cerini dice di averla votata e i profili social degli altri dimostrano lo stesso. E anche il segretario della Lega Matteo Salvini ha dichiarato: “Non ha più senso finanziare la nazionale di calcio, che è una roba da pirla”. Quindi Cerini, come la mettiamo? “Non so come abbia potuto fare questa dichiarazione, che né quest’anno né lo scorso abbiamo ricevuto finanziamenti, si sarà sbagliato: la Asd Padania Fa è totalmente indipendente”. In attesa che si chiariscano tra loro sulle sovvenzioni e i finanziamenti, quello che appare chiaro è la contiguità culturale tra la Nazionale della Padania e il pensiero del segretario leghista. “Noi non siamo razzisti, abbiamo in squadra il fratello di Mario Balotelli”, dice Cerini, ricalcando lo stereotipo del detto ‘non sono razzista perché ho un amico nero’ e rinforzandolo poi con la dichiarazione: “Sono titolare di un’impresa artigiana in cui lavorano due extracomunitari, che sono persone splendide”.
Tralasciando il fatto che in squadra, convocato per il torneo europeo di Debrecen insieme a Enoch Balotelli, c’è pure Riccardo Grittini, che si dimise da assessore allo sport (leghista) del Comune di Corbetta dopo che fu indagato per i cori razzisti contro Boateng durante l’amichevole Pro Patria-Milan, la partita contro la Nazionale dei Rom non sarà vissuta con tranquillità dal team manager. “Non so se sono d’accordo con le dichiarazioni di Salvini sui campi Rom, ma certamente non mi sembra giusto che per questi campi siano spesi soldi che possono andare al popolo italiano, mi girano i coglioni”, continua Cerini nella sua chiacchierata con ilfattoquotidiano.it. Per poi aggiungere: “Io non raderei al suolo nulla, ma poi la mattina mi sveglio e leggo che a Cuneo in casa di due italiani sono entrati dei ladri e hanno sparato”. Erano Rom questi ladri? “Non lo so nemmeno”. E allora perché associa immediatamente questo episodio ai Rom? “Perché tanti ladri che sono stati presi sono Rom”. Quindi c’è un problema Rom? “Sicuramente sì”. E con che spirito affronterà la partita allora? “Non so, magari c’è un popolo che si fa chiamare Rom ma sono integrati, e non vengono qua a romperci i coglioni”.

sabato 6 giugno 2015

Lega, Salvini e le frasi choc: “Va dove lo porta il sondaggio”. I segreti dell’unico partito che vince: tv, facebook e salamella



È Salvini il degno erede di Berlusconi? A giudicare dall’avanzata della Lega Nord nel centro Italia verrebbe da dire di sì. Le Regionali del 31 maggio hanno consegnato al Paese una geografia politica profondamente mutata, con un Carroccio che ha letteralmente cannibalizzato i voti di Forza Italia, riducendo al lumicino quella che un tempo era una spietata macchina da consensi. Non solo il partito guidato da Matteo Salvini è riuscito ad imporsi come prima forza del centrodestra in territori che non erano mai stati generosi con il simbolo dello spadone, ma è anche l’unico che, dati alla mano, sia uscito rafforzato dalla tornata elettorale. La Lega, grazie soprattutto all’avanzata nelle regioni rosse, si è messa in tasca un robusto saldo positivo (+402mila voti rispetto alle politiche del 2013, +256mila rispetto alle europee dello scorso anno). Un dato che assume ancora più corpo se si pensa al contesto di generale disaffezione al voto in cui è maturato. Così la Lega incassa e gli altri lasciano sul terreno tonnellate di consensi.
Ma dove nasce questo risultato? Il merito è ascrivibile in larga misura al frontman, Matteo Salvini, alla sua comunicazione diretta e senza mezzi toni. Un successo che arriva dalle felpe. Dalle parole scandite nelle piazze. Dagli scontri accesi con gli oppositori. Dai temi stessi scelti come terreno di battaglia con gli avversari. Temi urlati e scorretti, capaci di solleticare l’immaginario dell’elettorato più frustrato da una contemporaneità che lascia sempre meno spazio alla ragione e chiede soluzioni a portata di mano. Così contro i campi Rom si evocano le ruspe, contro i clandestini l’affondamento delle navi e via di questo passo. Un messaggio radicalizzato e spinto al limite che interpreta lo spirito del momento. La ricetta è semplice e replicabile: il leader si infila nella polemica giusta al momento giusto, la cavalca e riesce a trarne il massimo vantaggio. “A Salvini  piace insomma trasformarsi ed esibire i muscoli - si legge nell’ebook Matteo Salvini #ilMilitante scritto dal giornalista del ilfattoquotidiano.it Alessandro Madron insieme a Alessandro Franzi (Ansa) – Da comunista ad amico dell’estrema destra. Da indipendentista a nazionalista. E come ogni leader ha bisogno di un palcoscenico”. Secondo i due “esperti di Carroccio” “c’è chi dice, parafrasando il celebre titolo di un libro di Susanna Tamaro, che lui va non dove lo porta il cuore ma il sondaggio del momento. O, da un altro punto di vista, lui va dove lo porta il suo fiuto politico che ricorda molto quello di Bossi. Chiunque osservi le sue acrobazie all’insegna del politicamente scorretto gli dà atto di saper fare bene una cosa soprattutto: vendere se stesso e la sua merce politica dove occorre, quando conviene e nella quantità che chiede il suo pubblico. Tutte le idee collezionate in oltre vent’anni di attività politica si traducono in un uso massiccio di parole d’ordine schierate con nettezza. Che mobilitano e danno scandalo allo stesso tempo. O di qua o di là, appunto. Non si potrebbe dunque spiegare l’ascesa politica del giovane leader della Lega se non si mette la sua storia di militante sul palcoscenico – reale e virtuale – che calca quotidianamente davanti agli occhi degli italiani”.
Nel libro Madron e Franzi, oltre alla ricostruzione biografica del leader che ha resuscitato la Lega, cerca di analizzare  in maniera critica, concreta e compiuta – e liberandosi dal pregiudizio – i modi e i contenuti della comunicazione salviniana, vera chiave di lettura del suo successo elettorale. Un leader apparentemente senza qualità, senza esperienza e senza meriti particolari, che è riuscito a resuscitare la Lega, partito dato per morto dai più, che oggi, dopo aver cambiato pelle, incarna le ambizioni della destra italiana meglio di qualunque altra forza politica. Le parole d’ordine del Salvini-pensiero girano tutte intorno alla “distinzione tra amici e nemici. Nessuna via di mezzo”. Insomma, con lui o contro di lui. Parole che “non si comprenderebbero abbastanza senza i toni scelti per propagandarle”. È infatti “con frasi dure, sconvenienti e scioccanti che il leader della Lega rende visibile questa netta divisione fra amici e nemici. L’Unione Europea? È ‘il quarto Reich, i nuovi nazisti’. O è anche, in altre occasioni, ‘l’Unione sovietica europea’, la dittatura tecnocratica”.
In questo solco si innestano anche i toni usati per parlare di altri temi, come l’immigrazione di massa e le politiche d’accoglienza. È qui che “Salvini dà il meglio o il peggio di sé”. Nell’analisi de #ilMilitante si ricorda: “Quando nel canale di Sicilia, il 19 aprile del 2015, un barcone si è rovesciato in mare provocando più di 700 vittime, ha attaccato il governo non appena erano iniziati i soccorsi: ‘Altri morti sulle coscienze dei falsi buonisti, di Renzi e Alfano’, premier e ministro dell’Interno. “Bisogna fare un blocco navale internazionale subito, per bloccare le partenze”. ‘Un raccapricciante cinismo’, l’ha definito il leader di Sel, Nichi Vendola. Il partito del premier Renzi ha dato a Salvini dello ‘sciacallo’. A lui non sembra importare. Anzi, più lo attaccano, più si rafforza. E allora alla provocazione aggiunge provocazione: Salvini veicola i toni forti in ogni modo e con ogni mezzo. È proverbiale la sua massiccia presenza mediatica, ma non si limita a questo. Ci sono anche i comizi, le feste della Lega, gli appuntamenti tradizionali durante i quali incontra la base e rinverdisce quel rapporto fatto di pane e salamelle. Il quadro però non sarebbe completo senza considerare l’aspetto più caratteristico della sua comunicazione: l’uso compulsivo ma tecnicamente efficace dei social network, Facebook su tutti. “È da li che ha lanciato frasi scandalose come quella di non far attraccare i barconi dei migranti a Lampedusa o quelle contro gli avversari politici da prendere “a calci nel culo”. Dichiarazioni fatte con slang giovanile e l’aria scanzonata da bravo ragazzo che, propagate dal pubblico, diventano scazzottata tra fazioni rivali, fino a raccogliere gli sfoghi più viscerali”.


domenica 31 maggio 2015

Migranti: la Fortezza Europa non fermerà i barconi. E Salvini lo sa



Diciamolo: la Decisione di carattere provvisorio (dura 24 mesi) che la Commissione europea ha proposto di adottare al Consiglio dei 28 stati membri della UE mercoledì scorso, è modesta rispetto alle aspettative e soprattutto alle necessità.
Re-localizzare in due anni 40.000 persone, provenienti da una lista limitatissima di paesi (Siria e Eritrea, che hanno una proporzione di domande accettate di più del 75%) al “modico” prezzo di 6000 euro a rifugiato e con tutta una serie di “se” e di “ma” resta veramente inadeguato. Considerato soprattutto il fatto che in questo momento, la stragrande maggioranza dei profughi e sfollati sta nei paesi limitrofi alle crisi. Il conto quotidiano dell’Alto commissariato per i rifugiati ci dice che oggi, 29 maggio, ci sono 3.979.560 siriani che si sono registrati come rifugiati.
Sono i paesi più poveri che si sobbarcano centinaia di migliaia, milioni di fuggiaschi da guerre, carestie, disastri ambientali (l’80%)Ai loro occhi, le discussioni europee su 3.000 o 4.000 persone da mettere di qua o di là devono parere assurde. E infatti un po’ lo sono.
Ma una volta detto questo, dobbiamo passare alla fase successiva. Perché siamo in democrazia, anzi in una teledemocrazia del brevissimo termine e dell’allergia ai fatti; e oggi per molte persone è sicuramente molto più convincente Salvini (o corrispondenti locali in altri Stati membri) che continua a sbraitare frasi senza alcuna possibilità di attuazione reale come “assistiamoli in mezzo al mare” o “chiudiamo le frontiere” di chiunque cerchi di affrontare la questione in modo meno efficace per le Tv ma forse più utile a trovare strade di governo di questa questione che è destinata a rimanere con noi ancora a lungo. Di governo e di strategie, infatti, abbiamo un gran bisogno.
E di ribaltare con fatti e numeri la diffusa indisponibilità a capire che le tragedie degli altri hanno un impatto anche su di noi e che rifiutando di vedere come anche nostro il loro dolore, anzi restando sostanzialmente indifferenti ai numeri dei morti e alle loro storie, ci rendiamo un po’ complici, come già lo sono state generazioni prima di noi di fronte ad altre tragedie. Insomma, non sono le velleità di costruire una Fortezza Europa ancora più alta che fermerà i barconi. Ma solo una pace duratura e qualche possibilità di vita decente, di cui, che ci piaccia o no, anche noi dobbiamo farci carico, anche perché non siamo proprio senza alcuna responsabilità nella situazione che si è venuta a creare.
A me pare che il punto di partenza sia chiaro. Possiamo anche fare finta di niente e cercare, buttando al vento quel poco di credibilità che ancora abbiamo sulla scena internazionale quando parliamo agli altri paesi di grandi principi, di continuare a voltare la testa dall’altra parte ed ad illuderci che un paio di cannonate, qualche filo spinato in più possa risolvere la questione, perché noi dobbiamo prima di tutto chiudere le frontiere. Ma non servirà.
Questo è il grandissimo punto debole di Salvini, che chi lo invita in Tv non sottolinea mai: le sue ricette non funzionano: lo abbiamo visto, dal reato di immigrazione clandestina, ai milioni spesi nei CIE, ai rimedi peggiori dei mali dei tempi dell’emergenza rom di Maroni e Alemanno. E’ cosi anche sulla gestione dei flussi. Ai tempi del governo Lega-Berlusconi, l’accordo con Gheddafi era di fermare i barconi, ma al prezzo di centinaia di morti, abusi, violenze e privando persone che ne avevano il diritto ad accedere alla protezione internazionale. Certo, erano tutti comodamente fuori dalla vista delle telecamere.
La storia dei respingimenti è stata una delle pagine più buie per l’Italia dei diritti ed infatti è stata sanzionata dalla Corte dei Diritti di Strasburgo. Maroni, Salvini e compagnia la vantano come un grande successo e molti cittadini con loro, totalmente indifferenti rispetto alle gravi conseguenze umane. La progressiva disumanizzazione delle vittime è un dato costante del dibattito in atto in questi mesi e mi sembra un dato che non si possa accettare senza reagire.
E’ urgente perciò che media e governi (anche il nostro) si convincano che, invece di rincorrere il consenso ammorbidendo un po’, ma in fondo recuperando la retorica di Salvini e Le Pen, sia necessario mettere in campo una strategia radicalmente alternativa alla loro, efficace e credibile, che è possibile e viene proposta da molte parti. Altrimenti, la situazione non potrà che peggiorare.
Se si ammette che questo fenomeno non può essere fermato e necessita di risposte coerenti con i nostri obblighi di rispetto dei diritti di tutti, dei migranti ma anche dei più vulnerabili nelle nostre società, allora la proposta della Commissione rappresenta un passetto in avanti sul quale è necessario costruire e mobilitarsi, perché lo stato del dibattito in molti paesi membri è negativo ed il rischio che a giugno non si trovi la maggioranza qualificata per adottarla è molto forte. Con tutte le sue magagne, che devono essere denunciate, (prima fra tutte l’ambiguità sulla prospettata azione militare di cui non si capisce sostanzialmente nulla), essa rappresenta una presa di responsabilità della Commissione Juncker, che agisce in linea con le competenze d’iniziativa in questa materia acquisite con il Trattato di Lisbona e propone un’azione europea su un tema d’interesse comune.
Ricapitoliamo: la Commissione ha fatto una Comunicazione (una specie di annuncio) al Parlamento Europeo e al Consiglio il 13 maggio, con quella che ha definito un’Agenda per la politica d’immigrazione. In questo ambito, il 27 maggio ha proposto al Consiglio degli Stati membri di adottare una Decisione su delle misure provvisorie di re-localizzazione per l’Italia e la Grecia, decidendo di fare ricorso per la prima volta all’art. 78-3 del Trattato di Lisbona, che prevede appunto che l’Unione agisca nel caso di situazioni di emergenza caratterizzate da flussi improvvisi di cittadini di Stati terzi; il Consiglio dovrà poi decidere a maggioranza qualificata sulla proposta della Commissione entro fine giugno: il PE ha solo un potere consultivo; è da notare che viene cosi a mancare alla Commissione un potente alleato in questa partita.
Considerando che la Commissione Barroso si muoveva solo con l’accordo della maggioranza dei governi più forti, almeno Juncker dimostra di voler mettere gli Stati membri di fronte alla loro responsabilità. Se anche questa proposta minima fallirà, responsabile non sarà l”Europa”, ma i singoli governi nazionali. Certo, già che c’era la Commissione poteva fare di più, considerato che le Agenzie ONU chiedono un impegno almeno doppio; e suona foriera di molti problemi l’idea di “pagare” 6.000 euro a rifugiato anche a Stati molti prosperi, drenando 24 milioni di euro dal già scarso fondo europeo per asilo e migrazione, che ha visto la sua dotazione diminuire del 17% nel corso del negoziato sulle prospettive finanziarie 2014-2020.
Sarà interessante anche vedere come funzionerà la concreta messa in applicazione delle “minacciose” misure di sospensione della riallocazione nel caso in cui Grecia e Italia non siano in grado di garantire un trattamento adeguato delle richieste. Se in Grecia con il disfacimento dell’amministrazione pubblica, questo potrà significare un maggiore controllo e assistenza europea che potrebbe avere un impatto positivo su una situazione oggi disastrosa, in Italia si tratta di rilevare una sfida fattibile e che potrebbe anche determinare la fine della vergognosa storia di degrado dei CIE, se l’assistenza e i fondi saranno bene utilizzati.
Insomma, la decisione di riallocazione della Commissione europea potrebbe creare una dinamica positiva e contiene degli aspetti che devono essere colti e integrati in una vasta revisione delle priorità delle politiche di asilo e immigrazione della UE; revisione che deve partire dal presupposto che si tratta di una realtà difficile da gestire da molteplici punti di vista, ma che è lungi dall’essere impossibile, usando al meglio gli strumenti che esistono. L’idea che sia possibile muoversi insieme, anche se poco alla volta e che molto può essere fatto per affrontare in modo civile e realistico una sfida epocale, ci convince ancora di più che è ancora utile battersi per un’Europa più unita e più democratica.



martedì 26 maggio 2015

Berlusconi a ‘Che tempo che fa': ora nemmeno lui sembra più credere alle sue panzane



C’era grande attesa e curiosità per la prima volta di Berlusconi a Che tempo che fa. E adesso sarebbe fin troppo facile dire che, visti i tempi e il luogo, non ci si doveva aspettare da quel tipo di conversazione più di quanto in realtà c’è stato. Niente scontri, niente minacce di abbandonare, come era avvenuto in passato, qualche tentativo di monologo arginato abilmente dal conduttore, attento anche a correggere le imprecisioni più vistose della ricostruzione berlusconiana (la presenza di un Partito comunista italiano nel 1994 è fantapolitica), qualche scambio di battute spiritoso, sul calcio in particolare, nessuna rivelazione clamorosa. Eppure a ben guardare tra le pieghe di questa mezz’ora di televisione qualcosa di nuovo si può scoprire.
La cosa più appariscente è l’immagine un po’ dimessa di Berlusconi, particolarmente sbiadita al di là dei vari famosi espedienti di “trucco e parrucco”. Messo nella posizione “sottomessa” in senso letterale, in cui si trovano tutti gli ospiti di Fazio, non ha fatto nulla per uscirne: un Berlusconi disciplinato, scolastico, persino consapevole del tempo che passa e non gli concede più molte chance, ben diverso da quello che, fino all’altro ieri, si proclamava immortale ed eternamente giovane.
Ma il dato più interessante non è questo. A me pare sia emersa dalla conversazione anche un’altra novità più sottile, una sfumatura importante. Infatti, com’era ampiamente prevedibile il nostro ha sciorinato il suo consueto repertorio di balle: la rivoluzione liberale, la nuova crociata contro la status quo italiano, la riforma della pubblica amministrazione, la diminuzione della pressione fiscale, la persecuzione giudiziaria, la ricetta di Reagan come soluzione dei problemi economici (Dio ce ne scampi!), fino al giudizio negativo su Renzi abile solo come comunicatore mentre lui invece sì che le sa fare le cose… Insomma le stesse cose che sentiamo dal ’94.
Ma questa volta nei toni, nello sguardo e nella mimica c’era qualcosa di diverso. A differenza del passato e di quanto accade ai “ballisti seriali” che a forza di raccontare le balle finiscono per crederci pure loro, domenica era netta l’impressione che neppure lui credesse alle panzane che cercava di rifilare a Fazio e a tutti noi. Improvvisamente il grande comunicatore è parso come un vecchio attore un po’ sfiatato che deve recitare per contratto una parte che non lo convince più. E se non convince più lui stesso, a parte la Gelmini e la Biancofiore, chi potrà mai convincere?
Insomma, anche questa volta dal salottino di Fazio, con tutta la sua pacatezza, la sua disponibilità, la sua buona educazione, per chi vuole e sa leggere la tv al di là delle apparenze è uscita una non trascurabile verità.

sabato 23 maggio 2015

Attentato al Bardo, qualcosa avrà pur fatto Abdel



Dobbiamo sperare che gli inquirenti tunisini ed italiani trovino davvero qualcosa a carico del giovane Touil Abdel, altrimenti lui, sua madre e le sue sorelle non avranno più pace. Sembra un paradosso, ma ora l’accusa più grave a suo carico, sembra essere quella di non essere stato a Tunisi e al museo del Bardo nel giorno e nelle ore del massacro. Come ha osato non corrispondere all’identikit? Perché mai ha preferito restare a casa sua a Trezzano, continuando persino a frequentare la scuola?
Nel migliore dei casi il suo è stato un atteggiamento provocatorio e neppure cortese nei confronti del paese che lo ospita. Cosa gli costava confessare dopo che, nell’ordine, le Autorità tunisine, quelle italiane, il presidente del Consiglio e decine di giornalisti, si erano congratulati tra di loro per il colpo messo a segno?
Sarà pure stato a Trezzano, come ha definitivamente chiarito un magistrato, ma avrebbe comunque potuto confessare qualcosa e farsi carico degli interessi nazionali, tunisini ed italiani.
Adesso non gliela perdoneranno e frugheranno sino a quando non riusciranno a rimetterlo nella scheda segnaletica del clandestino, del terrorista in sonno, del reclutatore, del capo di una cellula dormiente incaricata di mettere a ferro e a fuoco l’intera Padania.
Sia come sia, sarà il caso che gli inquirenti facciano presto ed intanto chiedano pubblicamente scusa per quanto è accaduto; perché qualunque cosa dovessero scoprire ora su Touil, resterà l’ombra di una accusa che si è dimostrata infondata e che avrebbe potuto e dovuto essere verificata prima, magari facendo una telefonata ai responsabili delle scuola per stranieri di Trezzano.
Chiedere comunque scusa e denunciare pubblicamente i responsabili dell’errore non sarebbe solo un atto di doverosa civiltà, ma anche una scelta intelligente a tutela dei tanti magistrati e poliziotti che indagano con serietà, e che cercano davvero di contrastare terrore e terroristi, quelli veri, che purtroppo esistono, senza bisogno di costruire l’ennesimo “mostro da sbattere in prima pagina” e da immortalare a reti unificate.

  «L’Era dell’Anticristo inizierà nell’anno numero 7, quando il Grande Impostore sarà 2 volte 7 e 2 volte settimo. Ma prima di rivelarsi, l’...