venerdì 13 febbraio 2015

Emergency: la lotta in Sierra Leone contro l'Ebola

 
 

Lettera di Gino Strada dalla Sierra Leone

 
«L'epidemia di Ebola costringe a riflettere. 2 pazienti su 3 sono morti in Africa. Uno sì, due no, uno sopravvive e due muoiono.
In Europa e negli USA, invece, sono stati curati complessivamente 25 pazienti. 5 sono morti e 20 sopravvissuti. 66 % di mortalità in Africa, 20% nei Paesi ricchi. Perché questa differenza? O per dirla in modo meno asettico: perché la stessa malattia lascia speranza, o condanna a morte? Risposta semplice: la differenza la fa la "cura".  Cittadini di prima e di seconda classe, chi ha diritto alla cura e chi non ce l'ha.
 
Quando ero studente ho avuto il privilegio di conoscere e di ascoltare il grande maestro di etica e di medicina Giulio Alfredo Maccacaro. Scriveva all'inizio degli anni settanta "Non si insegna, non si divulga e quindi non si sa che la vita media non usava distinguere per classi sociali fino all'inizio della rivoluzione industriale: è con questa che la morte e la malattia imparano a discriminare sempre più severamente ed attentamente, entro una stessa collettività, tra ricchi e poveri... ci si ammala e si muore di classe, come sulla tragica tolda del Titanic".
A bordo del Titanic, su un totale di 143 viaggiatrici di prima classe solo 4 perirono (3 avevano scelto volontariamente di rimanere sulla nave), mentre tra le viaggiatrici di terza classe 81 donne su 179 affondarono con la nave.
Lo stesso destino dei malati di Ebola, nei Paesi ricchi o in Africa.
 
Siamo tutti consapevoli che non esiste ancora una cura specifica per l'Ebola, ma "una cura" è stata possibile "outside Africa", e ha guarito l'80% dei pazienti.
E allora perché non renderla disponibile anche "inside Africa", ad esempio in Sierra Leone?
 
Si sa, "in Africa mancano le risorse" è il ritornello, la "spiegazione" che diventa poi giustificazione della scelta di continuare a discriminare, di continuare con la medicina "per i poveri".
"Eh, mah, cure più complesse sono da valutare, bisogna considerare il contesto"... si sente noiosamente ripetere ad ogni meeting da varie organizzazioni istituzioni ed esperti.
Conosciamo il contesto dell'Africa, e della Sierra Leone, dove lavoriamo da 14 anni. Ma non siamo qui per giustificarlo, anzi dobbiamo e vogliamo migliorarlo. È il grande sforzo che lo staff internazionale e sierraleonese di Emergency sta facendo: costruire un contesto di diritti condivisi, praticare una medicina senza discriminazioni. Gli strumenti a disposizione per salvare una vita (pochi o tanti, efficaci o inutili che siano) devono essere resi disponibili a tutti.
Mancano risorse? Troviamole.
In Europa e negli USA tutti i pazienti sono stati curati (e 4 su 5 sono guariti) in reparti di terapia intensiva, non solo di isolamento, e hanno ricevuto assistenza continuativa e non sporadica. 
Si deve e si può fare una terapia intensiva dello stesso livello, o molto simile, anche in Africa.
È un obbligo morale e scientifico, e un progetto realizzabile: siamo in Sierra Leone a portare medicina, non solo "compassione".
 
Gino Strada 
Freetown, Sierra Leone, 30 gennaio 2015»

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