La seconda vita di Francesco Belsito.
L’ex tesoriere della Lega, inquisito, gestisce un bar a Genova
Davanti alla sua gelateria, l’altra mattina, li ha visti sfilare tutti. Leghisti noti e meno noti, il segretario Salvini e il candidato governatore Rixi in testa. E lui lì, al bancone dei bignè e delle sfogliatelle, oppure dietro alla cassa.
Il giorno dopo, Francesco Belsito, giura di non aver provato, nemmeno per un istante, la tentazione di uscire e seguire il popolo della Lega al Teatro della Gioventù che è a due passi dal Balilla, bar simbolo della city: il locale nel quale Belsito è entrato come socio, all’inizio della sua seconda vita, dove l’unico verde è quello dei coni al pistacchio e dello sciroppo alla menta.
«No, non ho provato nemmeno per un attimo il desiderio di uscire per ascoltare il comizio, sarebbe stato come un salto indietro nel tempo - dice - fino a un passato che non mi appartiene più. Il mio presente adesso è qui, in questo bar».
Belsito giura di non voler parlare. Ma (di fronte all’impegno di mettere per qualche minuto da parte le vicende giudiziarie sui diamanti e sui rimborsi elettorali allegri attorno a The Family) segue il cuore e si lascia andare. Riepilogando: Salvini, non è entrato nemmeno per un salto o per un caffè? «No». Rixi, che è sempre stato suo amico? «Nemmeno, non erano tenuti a farlo e politicamente forse era giusto così. Però militanti sì, parecchi sono venuti. E a chi mi ha chiesto un parere ho detto che Salvini sta facendo un buon lavoro». Certo, lei rappresenta una parte consistente della storia della Lega. «Lo so».
Ogni stagione ha i suoi simboli, l’ampolla dell’acqua del Po di Bossi, col trascorrere degli anni, ha lasciato il posto ai diamanti della Tanzania e ai lingotti d’oro di Belsito, poi alle ramazze di Maroni, ora alle felpe di Salvini. Ma guai a fermarsi alle apparenze: dietro all’ampolla (e ai diamanti e alle ramazze e alle felpe) c’è molto di più. Nel bene e nel male.
«Ho scelto da tempo di non parlare di queste cose, è una mia decisione e non cambio certamente idea. Perché tutto ciò che è legato alle vicende giudiziarie lo affido ai miei avvocati e il resto ce l’ho nel cuore, è una cosa privata». Va bene. Ma cosa pensa di Salvini, che le ha fatto un regalo non piccolo, visto che la Lega ha rinunciato a chiederle un risarcimento milionario? «Sta facendo quello che è giusto, cavalcando il malcontento della gente che non ne può più. Il futuro della Lega è lui».
Per Belsito la Lega è qualcosa che appartiene a un’altra epoca, lui stesso è il passato, però è un passato scomodo. «Quando la vicenda processuale sarà finalmente conclusa, scriverò un libro», promette. O minaccia.
E cosa dice di Rixi, il candidato della Lega alla guida della Liguria (un tempo suo amico)? «Spero che possa fare bene, certo il suo programma elettorale non lo conosco. E il programma, per un candidato, dovrebbe essere la cosa più importante. Sbaglio?». Probabilmente no, non sbaglia. E pazienza se nell’altra vita di Belsito, quando Bossi era ancora il senatùr non sempre le campagne elettorali si basavano su proposte concrete e progetti.
«Mi auguro che Rixi ce l’abbia almeno nella testa, un programma. Ma adesso proprio devo andare, qui si lavora». Tra gelati al pistacchio e caffè lisci o politicamente corretti, la seconda vita del tesoriere Belsito è tra la cassa e il banco di un bar. La terza, quella da scrittore (per ora solo annunciata) fa già paura a qualcuno.