Ancora una grande soddisfazione. Il mio libro "Pàntaclo" risulta al primo posto nella Classifica dei best sellers di luglio sul sito di Youcanprint, forse la principale piattaforma italiana dedicata alla auto-pubblicazione con migliaia di titoli in catalogo. Che dire? Wow!
lunedì 13 luglio 2015
sabato 11 luglio 2015
Srebrenica vent’anni dopo, genocidio? Quel che conta è ‘mai più’
La memoria dell’eccidio di Srebrenica, e i sensi di vergogna, pietà, impotenza, che porta con sé, almeno in Occidente, perché altrove sono rabbia, odio, disperazione, non avevano davvero bisogno di essere appesantiti dal dibattito, sterile e provocatorio da ambo le parti, se la tragedia bosniaca sia stata o meno genocidio.
Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, su questo punto, s’è spaccato: il veto della Russia, chiestole da Belgrado, e l’astensione della Cina, ma anche di Angola, Nigeria e Venezuela, Paesi fra loro diversissimi, ma tutti segnati da storie di confronti interni aspri oltre il limite della guerra civile, fanno emergere per l’ennesima volta i crinali dell’ingerenza umanitaria e dei conflitti etnici e religiosi interni a un Paese.
La Russia ha motivato il veto definendo il documento proposto “non costruttivo, aggressivo e politicamente motivato”. E così la commemorazione del massacro vent’anni dopo diviene un altro capitolo della nuova Guerra Fredda e l’ennesima testimonianza dell’immutabile atteggiamento filo-serbo russo. Ma che un documento dell’Onu lo bolli, o meno, come genocidio, che cambia alla realtà dei fatti?
Chi scrive non ha le competenze di diritto internazionale per esprimere un’opinione sull’applicabilità, o meno, della definizione all’episodio e, più in generale, al conflitto bosniaco. Ma, in fondo, in questo caso come nell’altra recente analoga discussione sull’uso del termine genocidio, partita nel triangolo Turchia-Armenia-Vaticano e rapidamente divenuta universale, quello che conta è mantenere la memoria di quanto accaduto, nutrirne l’orrore e, soprattutto, attrezzarsi perché eventi analoghi non si ripetano.
E, su questo punto, vent’anni dopo, l’umanità non è al riparo da altre tragedie siffatte, o peggiori: l’efficienza dell’Onu non è migliorata, la governance mondiale non s’è dotata d’organi di giudizio e d’intervento efficaci e tempestivi.
Certo, la mobilitazione internazionale per l’anniversario del massacro è impressionante: oltre 90 delegazioni –per l’Italia, la presidente della Camera Laura Boldrini, una che conosce e difende il valore dei diritti dell’uomo-, il presidente Usa del tempo Bill Clinton ed il suo segretario di Stato Madeleine Albright, i leader di tutti gli Stati dell’ex Jugoslavia, l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue Federica Mogherini assisteranno oggi alle cerimonie ufficiali di commemorazione degli 8000 musulmani sterminati nel luglio 1995 dalle truppe serbo bosniache del generale Ratko Mladic.
E tutto intorno fioriscono iniziative politiche e solidali, Angela Merkel ha portato a Sarajevo il sostegno della Germania all’adesione della Bosnia all’Ue. La Scala vi farà un concerto e il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni vi assisterà.
Il ricordo è ancora vivo; i sensi di colpa dei responsabili e la percezione dell’inadeguatezza di quanti –organismi internazionali e militari delle unità di pace presenti in loco, ma imbelli e inutili- non seppero impedire quanto avvenne sotto i loro occhi sono riconosciuti e palesi.
Le ricostruzioni storiche non sono ancora definitive, anche se è chiaro che il massacro fu una violenza pianificata e che l’Occidente preferì fingersene sorpreso. L’individuazione delle responsabilità non è stata ancora completata, ma Mladic è sotto processo. Però, altre Srebrenica sono ancora possibili, forse stanno avvenendo nel mondo, tra la Siria e l’Iraq, in Nigeria o altrove in Africa, nell’Asia più remota. E la comunità internazionale non s’è dotata di strumenti per impedirle né mostra la volontà di farlo presto: genocidio o meno, piangere i morti può anche essere un atto di ipocrisia; riuscire a impedirli, sarebbe un atto di responsabilità.
martedì 7 luglio 2015
Crisi Grecia, la memoria corta di Berlino
Parlare della crisi greca potrebbe apparire presuntuoso e anche un po’ banale. Ma alcune considerazione provo a metterle in fila. Considerazioni che lego ad alcuni concetti e ad alcune parole chiave. Parto dal concetto di ingratitudine o, si potrebbe dire, della comodità dell’avere una memoria corta.
La signora Angela Merkel, che in queste ore lavora alacremente per la cacciata della Grecia dall’Europa (sorvoliamo sul paradosso di cacciare dall’Europa la terra dove la parola Europa è nata…) e dall’euro a causa della sua insolvenza nel pagare il debito, scorda il passato del Paese che governa. La Germania, per ben due volte nel secolo scorso si è trovata in default. E’ accaduto alla fine dei due conflitti mondiali che la Germania stessa aveva scatenato, provocando non solo la morte di milioni di europei, ma la distruzione di gran parte del Continente. Le distruzioni provocate dalle due Guerre Mondiali hanno determinato, nei trattai di pace, pesantissimi danni di guerra che la Germania doveva pagare agli Stati vittime delle sue aggressioni. Ebbene in entrambi i casi i debiti tedeschi vennero condonati per oltre il 50% e la Germania si salvò dal default. Negli anni ’50 lo scenario è pressoché identico e anche in questo caso i debiti tedeschi vengono abbattuti drasticamente anche dal governo greco dell’epoca, che vantava anch’esso cospicui risarcimenti per i danni provocati dall’invasione nazista e dalla guerra. Senza quell’atto di generosità l’economia tedesca non avrebbe conosciuto la ripresa e poi il miracolo. Un miracolo economico che è stato pagato in buona parte dai cittadini europei che la Germania aveva fatto a pezzi. Oggi quel passato sembra non ricordarlo nessuno.
Secondo elemento che si prende scarsamente in considerazione in queste ore di chiacchiere a ruota libera sulla Grecia, è quello che riguarda il modo in cui si è determinato il debito greco. Il luogo comune che i media hanno fatto passare è quello dei greci spreconi e nullafacenti, che vogliono vivere sulle spalle dei laboriosi tedeschi. Vediamo se è esattamente così.
Per capire cosa è successo bisogna partire da un giochino finanziario che fanno molte banche. Raccolgono il risparmio dai cittadini e con quei fondi acquistano titoli, molti acquistano titoli di stato. Ovviamente i titoli dei paesi più deboli e quindi più a rischio sono i più remunerativi e fruttano interessi più alti. I titoli greci, vista la debolezza dell’economia ellenica, pagavano circa il 15% di interessi.
Chi ha acquistato gran parte del debito pubblico greco? Ovviamente le banche tedesche, e in una certa misura quelle francesi e poco quelle italiane. Con quali denari le banche tedesche hanno fatto l’acquisto? Con i soldi dei risparmiatori tedeschi e senza spendere un euro, visto che il costo del denaro in Germania è ridottissimo. I banchieri di Berlino hanno quindi intascato quasi interamente l’interesse pagato dalla Grecia per anni. Quando Atene è entrata in crisi sono arrivati gli aiuti europei. Aiuti alla Grecia? Assolutamente no. Aiuti alle casse delle banche tedesche che dovevano continuare ad incassare i loro interessi sui titoli greci. Su 250 milioni di euro di aiuti, 230 sono stati usati per pagare gli interessi dei titoli di stato. Soldi che non sono neppure transitati da Atene, ma sono andati direttamente nei forzieri germanici. Altro che pagare le pensioni e l’allegra spesa pubblica greca. I soldi dell’Europa (quelli che oggi la Grecia non può restituire) li hanno mangiati le banche di Berlino e Francoforte. Non so come si chiama in termini di alta finanza, ma noi cronisti di basso rango definiamo questo metodo con un solo termine: usura.
La domanda che andrebbe posta oggi di fronte a questa condotta scandalosa è semplice. E’ questa l’Europa che dobbiamo difendere? E’ ammissibile che a guidare le sorti del Continente debbano essere gli interessi di pochi banchieri sostenuti da una leadership politica che predica concetti economici come quello dell’austerity che sono palesemente fallimentari secondo il giudizio espresso dai maggiori economisti del pianeta? Va detto che forse una maggiore democrazia e una maggiore distribuzione del peso politico all’interno dell’Unione sarebbe la prima strada per porre in essere politiche economiche e sociali diametralmente opposte a quelle attuate. Politiche che hanno condannato l’Eurozona ad una crisi permanente, mentre le altre aree del pianeta, usando politiche opposte all’austerity, sono uscite da tempo dalla crisi e vivono una stagione di crescita. Tutte le volte che la Germania ha avuto la pretesa di guidare l’Europa ha portato a immani catastrofi. Forse la leadership tedesca porta sfiga o forse è il caso che la storia ci insegni qualcosa.
venerdì 3 luglio 2015
Violenza sessuale, lettera a una donna stuprata
Un giorno esci, per dovere o piacere, per accontentare qualcuno o per divertimento, e in men che non si dica finisci con l’essere stuprata. Allora vorrei raccontarti cosa succederà dal momento in cui dirai quello che ti è successo.
Se la persona che hai accusato è un immigrato, un arabo, un rom, tutti saranno dalla tua parte. Gli augureranno castrazione chimica, pena di morte, torture, la sua foto sarà messa in prima pagina, anche se da noi vige un sistema garantista che dovrebbe tutelare gli accusati fino alla condanna. Tutto sarà deciso. Lui è colpevole, tu dici la verità, perciò ti useranno perché in realtà a chi dirà queste cose importa molto poco di te. Importa invece molto a fare la gara a chi piscia più lontano con gli uomini stranieri, perché “violentano le nostre donne”, e anche se tu pensavi di appartenere a te stessa ti rendi conto di appartenere a una discreta somma di razzisti, alle Istituzioni, allo Stato. Ci sarà chi, in tuo nome, parlerà di sterminio di immigrati clandestini, come se la violenza di genere fosse una questione etnica, e tu non capirai mai, effettivamente se a stuprarti di più fu quell’uomo che ti prese con la forza o tutta questa gente che vuole costruire una forca per soddisfare più il proprio prurito di violenza “giusta” che per altro.
In entrambi i casi sarà tua la scelta: puoi denunciare o meno. Devi sapere, però, che sarai tu quella che viene processata. Per lui vale la presunzione di innocenza e per te quella di colpevolezza. Tu bugiarda, incapace di definire una cosa così complessa come la violenza, tu creatura malefica e tentatrice, che stavi fuori a un’ora che non si addice alle brave ragazze. Tu parente stretta di una gioventù bruciata, di quelle che non hanno più valori, così come dirà il prete e qualche psicologo da strapazzo. Tu che sarai accomunata, nell’indole e negli intenti, a un’adolescente di quelle che oramai la danno e se la pigliano come vogliono, perché ‘ste ragazzine, così come dice il vecchio seduto in piazza, sono tutte zoccolette. Basta vedere come si vestono.
E ti diranno che sei tu che l’hai provocato, perché l’uomo, naturalmente, avrebbe un desiderio sessuale, e già si confonde il sesso con lo stupro, benché siano cose completamente diverse, assai maggiore. Ha i bassi istinti, dicono alcuni (e poi non dite che sono le femministe a diffondere una cattiva immagine degli uomini), e lo dicono proprio quelli che un po’ colpevolizzano la vittima e un altro po’ finiscono con il fornire giustificazioni al carnefice. E dato che lui ha quella sessualità animalesca, incontenibile, non addomesticabile, allora sei tu che devi provvedere per prevenire. Indossa un burqa, smetti di vestire come un’adolescente di questi tempi. Torna con la mente e con gli abiti all’età vittoriana e poi confortati del fatto che se lei e lei e quell’altra sono state stuprate tu sai, di certo, in cuor tuo, perché te l’hanno detto quei patriarchi lì, che a loro è capitato perché se la sono cercata. Questo favorisce la divisione moralista tra donne perbene e per male, ti evita la paura, ti dice che a te non accadrà mai, e invece, guarda un po’, succede a tante, e per di più succede soprattutto in famiglia.
Se, infatti, ti stupra un parente, padre, marito, fratello, nonno, zio, allora la cosa sarà anche più complicata. Ti troverai contro anche gli affetti che ti inviteranno all’omertà perché incapaci di vedere e subito pronti a rimuovere ogni cosa obbligando te a fare lo stesso. Se tu sei invece una sex worker e un cliente ti stupra, a te diranno addirittura che non puoi pretendere di fare una distinzione tra vendita di servizi sessuali e stupro, perché tu sei lì apposta per quello, come se la vendita dei servizi sessuali avesse a che fare, grazie anche allo stigma che viene legittimato dalle abolizioniste, con lo stupro. Non conta il fatto che quel cliente ti ha malmenata, fatto male, ti ha usata e abusata per ore e che non aveva, in ogni caso, alcuna intenzione di pagare.
Se tu sei tutte queste persone insieme e la persona che hai accusato di stupro è un militare, un tutore dell’ordine, uno di quelli che teoricamente dovrebbero difenderti, allora scordati la solidarietà di tre quarti dell’opinione pubblica, salvo una parte che parlerà di “mele marce” invece di parlare di un albero marcio, inteso come sessista dalla testa in giù, perché costruito secondo criteri e regole e culture machiste, omofobe e sessiste che il più delle volte non distinguono una vittima da un carnefice. In fondo sono sempre le stesse persone pronte a massacrare la tua autodeterminazione se scendi in piazza a rivendicare un diritto. Dunque cosa dovrebbe importargli di te se non ti considerano neppure una cittadina critica meritevole di ascolto e di rispetto?
Se tu sei una qualunque di queste donne ma sei una straniera, in special modo se sei riconducibile ad una cultura prossima a quella dell’Islam, se fino a ieri ti avrebbero sanzionata perché porti il velo o avrebbero affamato i tuoi figli a scuola perché la refezione non vale per i poveri e soprattutto per i figli di migranti. Se fino a ieri ti avrebbero volentieri espulsa dall’Italia o mandata a corroderti l’anima in attesa del nulla dentro un Cie, improvvisamente diventi meritevole di attenzione. Ma bada, questo accadrà soltanto se a stuprarti sarà stato il tuo fidanzato, straniero, tuo padre, straniero, o chiunque si presti alla narrazione tossica che parla di una figlia che “voleva vestire all’Occidentale”. E invece, quei trogloditi lì, come se i nostri maschilisti fossero migliori, non glielo volevano permettere.
Ecco: facendo il conto di tutto quel che può succedere io stesso considero che tu sia stata stuprata mille volte. Quando lui ha osato metterti una mano addosso e quando poi il mondo intero ti ha usata, calpestata, violata, colpevolizzata, isolata, per fare di te carne da macello.
Questa è l’Italia. E ricorda: è qui che, purtroppo, vivi anche tu.
lunedì 29 giugno 2015
Grexit: i governi tedeschi non hanno mai pagato i loro debiti
I governi tedeschi, quelli che si ergono a giudici implacabili contro la Grecia e che cercano di destabilizzarla per impedire il referendum popolare, sono specialisti nel non pagare i loro debiti. Lo hanno già fatto tre volte nel corso dell’ultimo secolo. La prima volta dopo la Prima guerra mondiale, la seconda nel 1953 e la terza nel 1990 dopo la riunificazione. Vediamo brevemente.
Nel 1923 l’iperinflazione portò alla totale perdita di valore della moneta tedesca, al default e all’interruzione del pagamento del Debito che il governo tedesco stava pagando per le riparazioni di guerra. Il piano statunitense (Daves), che impose nel 1924 una nuova moneta, previde che i tedeschi avrebbero potuto onorare i loro debiti emettendo un prestito obbligazionario da collocare sul mercato della finanza mondiale per una somma totale di 800 milioni di marchi oro. Si trattò a tutti gli effetti di un enorme prestito internazionale dato ai tedeschi per permettergli di pagare il debito.
Nel 1928 avvenne però anche una ricontrattazione del debito, con la riduzione delle quote da pagare e un enorme allungamento dei tempi di restituzione a 60 anni! (Piano Young).
Nel 1933. Dopo aver vinto le elezioni, i nazisti smisero di pagare i debiti e le riparazioni dovute. Negli anni successivi cominciarono ad invadere i loro vicini, non dimenticando mai, appena arrivati, di svuotare le casseforti degli altri.
Nel 1953, dopo la Seconda guerra mondiale, la Germania ha nuovamente battuto cassa per non pagare il suo debito. Il 27 febbraio 1953, la conferenza di Londra, ha infatti deciso l’annullamento di circa i due terzi del debito tedesco (62,6%). Il debito di prima della guerra è stato ridotto da 22,6 a 7,5 miliardi di marchi e il debito del dopoguerra è stato ridotto da 16,2 a 7 miliardi di marchi. Oltre al taglio del debito la Germania ottenne anche una forte dilazione: oltre 30 anni di tempo per pagare la quota di debito rimanente. L’accordo è stato firmato dalla repubblica federale tedesca con 22 Paesi, tra cui la Grecia.
La conferenza di Londra aveva però messo una clausola: la parte di debito relativo ai danni provocati dalla guerra veniva posticipato ad un ipotetico periodo futuro nel caso in cui si fosse verificata la riunificazione della Germania.
Nel 1990, quando vi è stata la riunificazione, la Germania non tenne in alcun conto i suoi impegni presi nella conferenza di Londra del 1953 riguardo alle riparazioni di guerra. Il Cancelliere di allora, Helmut Kohl, si è rifiutato di applicare l’accordo di Londra del 1953 sui debiti esterni della Germania là dove veniva previsto che le le riparazioni destinate a rimborsare i disastri causati durante la seconda guerra mondiale dovevano essere versati alla riunificazione. Qualche acconto è stato versato ma si tratta di somme minime. La Germania non ha regolato i suoi conti dopo il 1990, ad eccezione delle indennità versate ai lavoratori forzati. I soldi prelevati con la forza nei paesi occupati durante la seconda guerra mondiale e i danni legati all’occupazione non sono stati rimborsati a nessuno. Tantomeno alla Grecia.
Da notare che i nazisti, al tempo dell’occupazione militare, hanno imposto alla Grecia il pagamento dei costi della loro occupazione. Insomma non solo hanno distrutto e ucciso, ma hanno letteralmente saccheggiato il Paese… Tenuto conto dell’inflazione dopo il 1945, la Germania ha un enorme debito con la Grecia che è stato calcolato in 162 miliardi di euro. Non proprio noccioline….
Questi sono i governanti tedeschi, che si ergono ad autorità morale contro il popolo greco e il suo governo. Governano una nazione che è stata rimessa in piedi dal Piano Marshall dopo che aveva scatenato una guerra, distrutto il continente e fatto decine di milioni di morti. Una nazione, un governo e un popolo che non hanno mai pagato i propri debiti e che proprio grazie a questo e agli aiuti sono potuti ridiventare una potenza mondiale. E’ bene ricordarglielo mentre stanno cercando di assassinare il popolo greco per la seconda volta.
giovedì 25 giugno 2015
Profilattici fosforescenti: quando la genialità si unisce alla salute sessuale
Si potrebbe chiamare ‘Tre ragazzi e un premio’ la nuova storia che arriva dalla Gran Bretagna, dove tre adolescenti della Isaac Newton Academy di Ilford, nell’Essex, hanno deciso di partecipare al Teen Tech Award, una gara di idee che ha lo scopo di promuovere la scienza, l’ingegneria e la tecnologia nelle scuole.
I tre studenti hanno inventato un profilattico in grado di rilevare alcune delle infezioni sessualmente trasmissibili, come la clamidia, la sifilide e l’Hpv. Il preservativo si chiama S.T.Eye (Sexual Transmitted Eye) e cambia colore per avvertire chi lo utilizza della presenza di un ceppo batterico collegato alla malattia.
Per realizzarlo gli studenti hanno avuto l’idea di sfruttare le molecole associate ai batteri e ai virus delle infezioni a trasmissione sessuale più comuni. Il lattice del profilattico ha uno strato interno impregnato di queste molecole che, quando si legano ai virus o ai batteri, diventano fluorescenti avvisando quindi della presenza dell’infezione che a quel punto dovrà essere ulteriormente diagnosticata attraverso le metodiche cliniche. Il prototipo del nuovo profilattico diventa di diversi colori in relazione alla infezione rilevata: viola per l’Hpv, giallo per l’herpes, blu per la sifilide e verde per la clamidia, ed è visibile anche al buio.
Per realizzarlo gli studenti hanno avuto l’idea di sfruttare le molecole associate ai batteri e ai virus delle infezioni a trasmissione sessuale più comuni. Il lattice del profilattico ha uno strato interno impregnato di queste molecole che, quando si legano ai virus o ai batteri, diventano fluorescenti avvisando quindi della presenza dell’infezione che a quel punto dovrà essere ulteriormente diagnosticata attraverso le metodiche cliniche. Il prototipo del nuovo profilattico diventa di diversi colori in relazione alla infezione rilevata: viola per l’Hpv, giallo per l’herpes, blu per la sifilide e verde per la clamidia, ed è visibile anche al buio.
Nell’ultimo notiziario dell’Istituto Superiore di Sanità pubblicato a giugno 2013, sul decennio che va dal 1 gennaio 1991 al 31 dicembre 2011, emerge un totale di 90.731 nuovi casi di infezioni sessualmente trasmesse con una media annua di 4919 casi. Le patologie più frequenti sono risultate essere i condilomi ano-genitali (34.435 casi), le cervicovaginiti batteriche da agenti eziologici diversi (8565 casi) e la sifilide latente (8405 casi). Sempre secondo i dati dell’Iss il condom non viene mai usato dal 48,1% delle persone con malattie a trasmissione sessuale e usato solo saltuariamente dal 36,1%.
Insomma siamo ancora lontani da un concetto di salute sessuale intesa come promozione del benessere individuale e di coppia, ma progetti come quelli dei tre ragazzi inglesi possono farci pensare che è possibile fare qualcosa di diverso.
mercoledì 24 giugno 2015
Mamme, a volte fa schifo esserlo. E va bene così!
E’ un periodaccio.
Di quelli dove cerchi gli occhiali e ce li hai in testa, perdi il bambino e ce l’hai in braccio, ti guardi allo specchio e ti accorgi di assomigliare a Conchita Wurst.
Siamo in alta stagione e io sono in giro con clienti stranieri in questo angolo di paradiso ligure che sono le Cinque Terre. Rilassati e spensierati, scorrazzano per l’Europa bevendo vino, consultando guide, ingrassando a suon di carboidrati tricolore. Sono coppie o gruppi di amici che se la spassano un mondo e se hanno figli, non di rado li lasciano a casa con qualcuno.
Esco, saluto la family e in breve tempo mi incontro con i turisti del giorno. Se va bene, a fine giornata avrò mezz’ora nella quale dedicarmi solo a me stessa, senza essere interrotta perché qualcuno: a) ha rubato un gioco a un altro, b) ha fame, c) ha fatto la cacca, d) ha allagato il bagno, e) si è fatto male e urla come un’aquila.
Trenta minuti non sono molti. A volte mancano pure quelli.
E’ un periodaccio.
Di quelli dove più che un essere umano mi sento uno sherpa abbarbicato alla parete nord dell’Everest, senza bombola e alla disperata ricerca di restare viva. Di sopravvivere a culetti sporchi, richieste da soddisfare, stomaci da riempire, vestiti da lavare, risse da sedare, giochi da inventare, faccende da sbrigare, email da inviare.
E’ più o meno tra un urlo da soprano e un pannolino in mano, più Miss Doubtfire che Bridget Jones, che ho una rivelazione. Di quelle che ti lasciano prima fulminata e poi angosciata. La mia vita fa schifo!
La gente con cui passo le mie giornate lavorative cavalca i propri desideri, danza al passo dei propri ritmi, asseconda le proprie pause, decide quando andare o quando restare, è padrona della propria esistenza.
Io e Miss Indipendenza siamo due intime amiche che non si vedono da parecchio tempo.
Non si tratta tanto della mia vita in senso esistenziale, quel che appesantisce è la routine di certi giorni su altri. Quella quotidianità monopolizzata di diritto da tre piccole personcine, che non hanno chiesto di venire al mondo e che ora manovrano il mio.
Dopo l’illuminazione, oltre all’impotenza di essere costantemente risucchiata dentro un vortice e risputata intera più o meno verso le nove di sera, mi sono sentita un essere inetto.
Perché i figli so’ pezzi e’ core e guai lamentarsene, pena il rinvio a giudizio al tribunale dei minori.
Ragionandoci su, tra un treno per Manarola e uno da Riomaggiore, ho però realizzato che l’amore non centra proprio un bel nulla.
E’ solo la fotografia di una particolare fase della vita, che rispetto a quanto in molti pensano e pochi dicono, annovera momenti non proprio esaltanti di autentico sfinimento fisico.
Felicità è (anche) silenzio, indolenza, egoismo. E’ alzarsi alle dieci, mangiare una scatoletta di tonno, e fare la spola dal divano al letto, dal letto al divano; ma essere genitori è un contratto a chiamata che non contempla giorni di riposo, né festività.
Perché si fanno i figli?
E’ un po’ come rispondere a cosa sia l’amore. Ognuno ha una risposta diversa, legittima, dove tutto è il contrario di tutto.
I figli – su larga scala – ti salvano da te stesso e dal narcisismo autoreferenziale, obbligandoti a rinunciare al senso di onnipotenza che si aveva prima di loro. Sono l’unico miracolo che l’uomo sia riuscito a creare e il suo onere più grande.
E va bene così.
Trovando il coraggio di confessarselo, mugugnando di tanto in tanto, la luce alla fine del tunnel diventa via via più grande.
E ad entrarci a piè pari, in quel tunnel, da qualche altra parte del mondo, tocca a qualcun’altra.
Nell’esatto momento in cui fissa inebetita due lineette sottili che via via appaiono sempre più nitide.
Erica Vecchione ex casalinga e blogger
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