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Il degrado di Roma siamo noi



Da romano che spende lunghi periodi all’estero, la prima cosa che noto quando torno a Roma è la sporcizia, perfino fra le piste di atterraggio dell’aeroporto di Fiumicino (fateci caso). Sporcizia che, temo, in città esisteva da prima che Ignazio Marino fosse eletto sindaco. I romani mi diranno: “E’ vero, ma oggi è peggio di prima” e questo pure è vero, e ne so il motivo: il sindaco attuale ha fatto chiudere nel 2013 il sistema Malagrotta (la discarica di Roma che per alcuni decenni ha gestito in regime di sostanziale monopolio l’intera raccolta di rifiuti della città, trattandoli in modo non conforme alle leggi e pericoloso per l’ambiente) applicando una direttiva europea ed evitando alla cittadinanza di dover pagare una cospicua multa. In una città normale, questo non avrebbe comportato un peggioramento della raccolta dei rifiuti, ma a Roma c’è, come sappiamo, un capillare sistema criminale che sa come opporre resistenza al legittimo potere politico locale che, di punto in bianco, decide di non tenere conto degli interessi di Mafia Capitale.
Questi però sono discorsi di macro-politica/criminalità. Che ci riguardano tutti, intendiamoci bene, ma fino a un certo punto. Qui invece voglio fare un discorso di micro-politica e tirare in ballo il comportamento del singolo cittadino romano.
Mi riferisco al cittadino romano che ha un cane, e lo porta a defecare sul marciapiede senza poi raccoglierne gli escrementi e gettarli nel contenitore dell’umido, come succede in tutte le altre città occidentali del mondo.
Mi riferisco al cittadino romano che prende le bici del bike sharing. Nel senso letterale: le prende, le smonta e si rivende i pezzi, affossando così un servizio che nel resto del mondo (anche non occidentale) prospera.
Mi riferisco al cittadino romano che prende le auto del car sharing. Come sopra, o che si diverte a vandalizzarle o lasciarle col serbatoio vuoto: haha, bada, che sghicio.
Mi riferisco al cittadino romano che fuma, e poi getta il mozzicone di cicca per terra, anziché spegnerlo nelle apposite ceneriere. Con l’aggravante che se a terra hai dei sampietrini di origine antico romana (e permettetemi di sottolineare la cosa: se hai l’incredibile fortuna di avere a terra dei sampietrini di origine antico romana), magari il filtro s’insinua fra un cubetto e l’altro e rimane là in saecula saeculorum.
Mi riferisco al cittadino romano giovane, con la gomma in bocca. Fino a che non la sputa sul marciapiede, dove rimarrà anch’ella in saecula saeculorum, a meno che un assai pio netturbino passi con una sostanza chimica e un raschietto gomma per gomma. Troppo anche per la città santa, no?
Mi riferisco alla cittadina romana, magari di una certa età, che va nelle aiuole del giardino sotto casa a sradicare le rose o le viole, e che se le dici qualcosa ti risponde: “Ma che vuole? Non sono mica sue, queste non sono di nessuno!
Mi riferisco al cittadino romano che produce immondizia e non si cura di differenziarla. Poi magari butta l’intero sacco di immondizia poggiandolo con grazia di fianco al cassonetto e non dentro, perché sai, fa un caldo, e voja de aprì er cassonetto sartame addosso che io me scanso.
Mi riferisco al cittadino romano amante della musica. Del suo clacson, che suona come sfogatoio delle sue frustrazioni quotidiane. Suònate ‘stacippa.
Mi riferisco al cittadino romano che si lamenta del traffico di Roma, salvo poi parcheggiare sempre in doppia fila e spesso in curva (un caso per tutti: andate a vedere Via Nemorense fra piazza Acilia e piazza Santa Emerenziana, che non è Tor Bella Monaca ma l’elegante Quartiere Trieste. Non trovi parcheggio? Vai in un garage, arriva in autobus, a piedi, in bici, in monopattino, in taxi. Non parcheggiare in doppia fila. Punto.)
Mi riferisco al cittadino romano che guida uno scooter. Sui marciapiedi o sulle corsie preferenziali di autobus, taxi, ambulanze e polizia, perché si sa, l’idea di stare in fila dietro le auto nella corsia per il traffico normale, come prescrive il Codice della strada, è una ipotesi da: “Me stai a cojonà?
Mi riferisco al cittadino romano che lavora per Atac, non importa se come manager o semplice autista, e con i suoi comportamenti ha contribuito a diffondere il credo che “ATAC” non sia un acronimo ma la prima parte dell’espressione romana “Ataccatearcazzo“. E visto che sono ore in cui va di moda un video di un autista Atac che spiega come tutto dipenderebbe solo dalla “MM”, cioè dalla “mancanza materiale” per riparare i mezzi – cosa che sicuramente è un problema da affrontare, e bene ha fatto il sindaco a licenziare i manager responsabili dello sfacelo – faccio notare che su You Tube sono presenti dozzine di video che testimoniano come i bus della capitale siano spesso guidati da dipendenti che assumono, diciamo così, un comportamento anti-professionale. Lo stesso vale per quei cittadini romani che dovrebbero guidare le metropolitane, che scioperano perché il sindaco gli vuole imporre – udite udite – di timbrare il cartellino in entrata e uscita dal lavoro. Quale affronto, eh? Non che in sé la timbratura del cartellino garantisca da comportamenti criminali, come sappiamo, ma insomma, è un modo per cercare di monitorare e limitare fenomeni di questo genere.
Mi riferisco al cittadino romano che possiede un taxi. E non occorre aggiungere altro.
Come immaginate, potrei continuare a lungo. Se questi e altri mille comportamenti non sono affrontati a livello micro, possiamo fare sindaco anche Churchill redivivo, ma la situazione non migliorerà.

, Scrittore e giornalista

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