Freedom House, l’organizzazione non governativa statunitense che dal 1980 mappa e monitora lo stato della libertà di informazione nel mondo, ha appena pubblicato il rapporto 2015, relativo allo scorso anno.
I dati relativi all’Italia sono assai poco confortanti: il nostro Paese resta, in termini di libertà di informazione, 65° su 199 ma, soprattutto, nella schiera degli Stati che Freedom House definisce “parzialmente liberi” in termini di libertà di informazione.
E’ la stessa posizione del 2014 con lo stesso punteggio, 31 – in una scala nella quale vicino allo zero ci sono i più liberi e vicino a 100 i meno liberi – assegnatoci lo scorso anno.
Ma le buone notizie – o, almeno, quelle non negative – si fermano qui.
Guai, naturalmente, a sottovalutare un dato che è, comunque, moderatamente confortante se si tiene conto che, secondo Freedom House, il 2014 è stato il peggiore anno, negli ultimi dieci, in termini di libertà di informazione nel mondo con appena il 14% della popolazione globale che vive in Paesi nei quali vi è effettivamente un adeguato livello di libertà di informazione.
Ma guai, allo stesso tempo, a considerare lusinghiero un posizionamento che è invece drammatico specie se contestualizzato in termini geopolitici.
Benché, infatti, il nostro Paese sia 65° su 199 nel mondo, siamo 30° su 42 nel continente europeo e siamo seguiti solo da Paesi come l’Ungheria, la Bulgaria, il Montenegro, la Croazia, la Serbia, la Romania, l’Albania, il Kosovo, la Bosnia Erzegovina, la Grecia, la Macedonia e la Turchia.
Una dozzina di Paesi – quelli che seguono l’Italia nella classifica stilata da Freedom house – che, senza nulla togliere alla loro storia, cultura e tradizione né voler esprimere alcun giudizio di valore, non rappresentano, certamente, delle eccellenze democratiche nel Vecchio Continente.
Ma, purtroppo, non basta.
Perché Freedom House – come già in passato – annota una circostanza che dovrebbe farci riflettere sulla situazione drammatica dello stato di libertà di informazione in Italia: l’Europa è, infatti, il continente con la più alta concentrazione di Paesi nei quali la libertà di informazione c’è per davvero.
Siamo quindi la pecora nera di un continente che – per storia, cultura e tradizione – costituisce, al contrario, un’eccellenza nel mondo intero in termini di libertà di informazione.
E per averne conferma basta mettersi davanti la mappa dell’Europa sulla quale Freedom House ha colorato in verde i Paesi nei quali c’è libertà di informazione ed in giallo quelli nei quali si vive in condizioni di semi-libertà.
L’immagine parla più di un fiume di parole: l’intera Unione Europea, eccezion fatta per il nostro Paese e per quelli dell’est, più di recente entrati nell’Unione, è interamente colorata di verde.
Sono verdi, perché libere, la Francia, la Gran Bretagna, l’Irlanda, la Germania, lo sono naturalmente i Paesi Scandinavi – che guidano addirittura la classifica mondiale – e lo è l’Austria, come l’Olanda, il Belgio, il Lussemburgo e lo è, persino, Cipro.
E’ libera, in termini di libertà di informazione, il 66% dell’Europa e sono liberi oltre 400 milioni di cittadini europei.
Non dispongono, invece, di un adeguato livello di libertà di informazione i cittadini italiani ed altri 100 milioni di cittadini in Europa che corrispondono, appena al 21% della popolazione del Vecchio Continente.
E se si ritrae lo zoom e dalla mappa europea si passa a guardare quella del mondo intero non si porta a casa un’impressione più confortante perché il giallo che colora il nostro Paese e quelli in analoghe condizioni di semi-libertà ci accomuna, essenzialmente, a buona parte del Sudamerica, ad alcune regioni africane, all’Europa dell’est ed all’India.
Sono colorati in verde, invece, oltre al resto dell’Europa, gli Stati Uniti d’America, il Canada e l’Australia.
Insomma a guardare la mappa del mondo di Freedom house e, ancor di più, a guardare quella del Vecchio Continente e dell’Unione europea in particolare, ci si sente piccoli, piccoli in termini di libertà di informazione.
E’ una realtà – una delle tante – difficile da accettare.
Come è possibile, allo stesso tempo, voler essere considerati un Paese democratico ed avere così poca cura della libertà di informazione, indiscutibile pietra angolare della democrazia?
Ci sono poche cose, molto importanti, che vanno fatte subito se ci si vuole anche solo augurare che negli anni che verranno – la fine del 2015 è sfortunatamente troppo vicina – anche il nostro Paese possa essere colorato di verde sulle mappe di Freedom house.
Approvare subito – come inizia, per fortuna, a dirsi con insistenza – un Freedom of information act, chiudere la parodia del disegno di legge sulla diffamazione, depenalizzandola per davvero e resistendo alla sciocca ed inopportuna tentazione di approfittare dell’occasione per imbavagliare l’informazione che corre sul web e, soprattutto, stabilire, una volta e per tutte, che ogni bit di informazione pubblicato online è democraticamente sacro e spetta solo ad un giudice ordinarne la rimozione.
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