“La mafia è una montagna di m.. E dunque Mariano Agate era un pezzo di m..” così aveva scritto Rino Giacalone, bravo e coraggioso giornalista di Trapani, narrando, al momento del suo decesso, la poco gloriosa vita del boss. La vedova del mafioso si era risentita non per la m di mafia, ma per la m di merda, che riprendeva la famosa invettiva di Peppino Impastato, diventata una citazione classica per esprimere il disprezzo nei confronti dei tanti Agate che hanno inquinato ed inquinano la convivenza civile e non solo in Sicilia.
Per questa ragione Giacalone, da sempre impegnato con Libera, con Articolo 21 e con le associazioni che contrastano la mafia e le sue collusioni con la politica, si è visto recapitare una querela non solo “temeraria”, ma anche impudente ed imprudente. Oggi il giudice non solo ha deciso di non procedere, ma ha anche riconosciuto che Giacalone ha esercitato il diritto di cronaca, ha raccontato una storia vera, ha usato una citazione entrata nell’uso comune, ha dato ossigeno all’articolo 21 della Costituzione.
“Una ventata di aria pulita...” , ha commentato sul sito di Articolo 21, Paolo Borrometti, un altro cronista costretto a vivere “sotto scorta” per le sue inchieste contro la mafia della zona di Vittoria. La sentenza non piacerà ai “professionisti della mafia“, ma da oggi e con rinnovato vigore sarà il caso di continuare a ripetere che “la mafia è una montagna di merda e i mafiosi sono il concime”. Resta il problema di sempre: chi ripagherà Giacalone per aver dovuto subire e contrastare l’ennesima “querela temeraria“, diventata ormai un vero strumento di intimidazione contro il diritto di cronaca?
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