I parlamentari decaduti per reati gravi continuano tutt'oggi a percepire "la pensione", creando giustamente sconcerto tra l'opinione pubblica.
La questione sembrava chiara e ci si è rivolti al diritto per renderla confusa.
Le Camere si trovano a discutere se sia ragionevole che i parlamentari decaduti in conseguenza di condanna irrevocabile per reati di particolare gravità, possano continuare a percepire il cosi detto "vitalizio", se, dunque, sia ragionevole sostenere, vita natural durante, coloro che dal Parlamento siano stati allontanati per una ragione di indegnità. "Indegnità" è una parola della Costituzione, insieme a "disciplina e onore".
Quando si è saputo che ciò tranquillamente accade, ai più (forse, salvo ai diretti interessati) non è sembrato vero. Cosa da non credere. Così, si sono messe in moto iniziative interne alle Camere per rimuovere un'anomalia che sembra fatta apposta per giustificare e alimentare il già tanto diffuso pregiudizio anti-parlamentare che circola nel nostro Paese. Pareva facile. Invece no. Sono stati chiamati in causa i costituzionalisti e i loro pareri "pro veritate" con la conseguenza che ciò che pareva chiaro è diventato oscuro. Il senso comune pensa che, per risolvere una questione controversa ci si possa rivolgere al diritto per ricavare la risposta che metta tutti d'accordo.
Qui, succede il contrario: la questione sembrava chiara e ci si è rivolti al diritto per renderla confusa. I giuristi hanno espresso le loro verità e hanno sostenuto di tutto: che quei tali vitalizi siano intoccabili e vanno bene così come sono; che devono o possono essere eliminati tout court; che li si deve sospendere solo per un certo numero d'anni; che li si può mantenere, ma se ne deve ridurre l'entità; che, infine, in ogni caso non sarebbe sufficiente una delibera parlamentare interna, occorrendo una legge. I giuristi non stanno facendo una bella figura e nella brutta figura stanno trascinando l'oggetto della loro professione, il diritto e la Costituzione. Non si alimenta, così, l'idea corrente che i giuristi siano essenzialmente dei consulenti e che il diritto, alla fine, non sia che un mezzo e, spesso, un mezzuccio?
In sostanza questo è il rischio dei giuristi quando le loro opinioni si offrono come merci sul banco d'un mercato, a disposizione degli acquirenti.
Ma vediamo alcuni argomenti addotti dai nostri confusionari esperti. Prima di tutto si è discusso sulla natura del "vitalizio". Per alcuni si tratta a tutti gli effetti di una "retribuzione differita", la quale viene percepita alla fine del "rapporto di servizio", esattamente come capita a un bancario o a un metalmeccanico. In base a questo concetto "le retribuzioni" non si possono toccare sulla base di diverse disposizioni costituzionali. Questa interpretazione porrebbe fine a ogni contestazione. il "vitalizio" non si può toccare.
La tesi opposta invece afferma che il "vitalizio" non è "una retribuzione differita", non essendoci alla base un "rapporto di servizio". In pratica il deputato o il senatore non vengono "assunti" dalle Camere e quindi non esiste un rapporto di lavoro tra le parti. Il "vitalizio" è piuttosto una "indennità" concessa al parlamentare per consentirgli di condurre una vita decorosa (si fa per dire considerati gli importi corrisposti). In questo caso l'ipotesi della sospensione sarebbe praticabile.
Alla fine di tutto rimane comunque soltanto un quesito. E' ragionevole che persone decadute per avere commesso dei reati e che non possono essere ricandidate per aver disonorato la carica, continuino ad appartenere alla cerchia dei protetti, alla stessa stregua di coloro che, invece, l'hanno onorata? Questa è la domanda che i cittadini comprendono, alla quale le Camere devono dare una risposta. Gli argomenti dei giuristi seguiranno.
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