L’altro giorno a Roma, mentre la musica del Padrino accompagnava l’ultimo viaggio terreno di Vittorio Casamonica tra petali e gigantografia, si celebrava il funerale dell’antimafia di Stato. Esequie iniziate anni fa in un silenzio, ovviamente, tombale. La Questura ha minimizzato, la Prefettura ha ignorato, il prete non ha capito, il Comune ha dormito. Ora dopo l’indignazione da tastiera bisogna capire se qualcuno di questi vertici pagherà con la destituzione.
Giorni fa mi era giunta voce, poi confermata, che il colonnello Ultimo era stato esautorato dal comando del Noe, il nucleo ecologico dei carabinieri. In Italia chi indaga colletti bianchi, mafiosi e politici conniventi viene prontamente rimosso. Meglio chi sonnechia, abbozza, non crea imbarazzi.
Tornando al pacchiano funerale penso che da tempo assistiamo alle celebrazioni della scomparsa dell’antimafia di Stato. A Roma è così da anni e senza che i politici indignati per i petali e le note del Padrino abbiano mosso un dito. I funerali dell’antimafia di Stato si celebrano da tempo per incapacità e sottovalutazione degli organismi posti alla repressione del fenomeno, con le eccezioni di rito, ma anche per la serena compiacenza di gran parte della società civile (?) di fronte a portatori sani di voti e soldi, che come noto, non hanno odore.
A Roma la mafia non esiste e già questo è un ottimo inizio di funerale. Non esiste per la giustizia. Fino al 2012, infatti, con la condanna di alcuni appartenenti a una famiglia proveniente dal casertano, non c’era stata nessuna sentenza per 416 bis, il reato associativo mafioso. E chi conosce bene le aule dei tribunali ti spiega che il lavoro di pm e polizia giudiziaria, per anni, è stato vanificato da sentenze che chiarivano che nella capitale le mafie non esistono perché non c’è omertà.
E i Casamonica non sono boss, nessuno di loro è mai stato condannato per mafia. Lo stesso dicasi per i beni confiscati alle organizzazioni criminali. Come noto hanno un valore simbolico notevole. A Roma, ce ne sono decine inutilizzati, lasciati marcire e alcuni ancora occupati dai familiari dei soggetti destinatari di confisca.
Insomma, un fallimento. L’ultima volta che sono stato nel quartiere dei Casamonica, con scorta della polizia, alcuni immobili sotto confisca erano alla mercé di chiunque, ma non nelle mani dello Stato. Piovano petali! A Roma è stato possibile riempire pagine di giornali sul sequestro alla ‘ndrangheta del Café de Paris, ma in silenzio si è assistito alla chiusura del locale mentre era sotto il controllo giudiziario. Che inizi la musica! A Roma alcune zone di quartieri come San Basilio, ma anche Pigneto e San Lorenzo in forma diversa, sono affidate ad organizzazioni in grado di garantire vedette, controlli e spaccio 24 ore su 24.
A Roma politici, imprenditori e magistrati siedono nei ristoranti bene, anche se gestiti dagli amici degli amici. Ricordo con amarezza le parole del sindaco Ignazio Marino che, quando gli chiesi di alcune scelte politiche messe in campo, mi rispose che i giornalisti in questi anni avevano sonnecchiato. La stampa ha di certo colpe, ma sono inutili le accuse nel mucchio senza conoscere nulla del percorso di chi si ha di fronte. Il primo cittadino arrivò a dire in un delirio di onnipotenza che con loro i cattivi vanno in galera, vestendo i panni dello sceriffo. Dimenticando di dire che se muoiono “I re di Roma” – ricordando la gigantografia – i vigili fanno la scorta e, per ammissione degli agenti, si fottono di paura.
Nei palazzi della Capitale mentre si davano lezioni di antimafia ai comuni del casertano, mostrando compassione mista a rassegnazione, e si guardava spaventati Gomorra, un’organizzazione criminale comprava un pezzo di Consiglio comunale di Roma Capitale. Ma quando è venuto il momento di decidere sullo scioglimento per mafia si è scelta la ragion di Stato. Niente azzeramento. Lo ha deciso il prefetto di Roma Franco Gabrielli che, in quelle ore, dissertava delle differenze tra Roma e le terre del Sud, con una visione impregnata di sottovalutazione.
Dissertazioni che ricordano il suo predecessore Giuseppe Pecoraro, che minimizzava in merito alla presenza mafiosa a Roma. Insomma la Capitale è diversa e non bisogna esagerare, figurarsi sciogliere il Consiglio comunale per infiltrazioni della malavita. Come ti permetti di pensarlo? E’ vero, ci sono tutte le condizioni, la legge lo prevede, ma mica stai nel profondo sud, nei paesi di Gomorra, nella culla della ‘ndrangheta. E, infatti, siamo a Roma dove la mafia non esiste e i funerali dell’antimafia di Stato si celebrano da tempo. Ora, però, godiamoci un poco di sana indignazione dei partiti di tgoverno, di chi amministra questa città da anni, ma non si era accorto di nulla.
I quattro petali e il funerale pacchiano hanno solo dato l’estrema unzione all’antimafia di Stato e la stura ad una indignazione per larga parte inutile, e profondamente ipocrita.
NELLO TROCCHIA, cronista.
Giorni fa mi era giunta voce, poi confermata, che il colonnello Ultimo era stato esautorato dal comando del Noe, il nucleo ecologico dei carabinieri. In Italia chi indaga colletti bianchi, mafiosi e politici conniventi viene prontamente rimosso. Meglio chi sonnechia, abbozza, non crea imbarazzi.
Tornando al pacchiano funerale penso che da tempo assistiamo alle celebrazioni della scomparsa dell’antimafia di Stato. A Roma è così da anni e senza che i politici indignati per i petali e le note del Padrino abbiano mosso un dito. I funerali dell’antimafia di Stato si celebrano da tempo per incapacità e sottovalutazione degli organismi posti alla repressione del fenomeno, con le eccezioni di rito, ma anche per la serena compiacenza di gran parte della società civile (?) di fronte a portatori sani di voti e soldi, che come noto, non hanno odore.
A Roma la mafia non esiste e già questo è un ottimo inizio di funerale. Non esiste per la giustizia. Fino al 2012, infatti, con la condanna di alcuni appartenenti a una famiglia proveniente dal casertano, non c’era stata nessuna sentenza per 416 bis, il reato associativo mafioso. E chi conosce bene le aule dei tribunali ti spiega che il lavoro di pm e polizia giudiziaria, per anni, è stato vanificato da sentenze che chiarivano che nella capitale le mafie non esistono perché non c’è omertà.
E i Casamonica non sono boss, nessuno di loro è mai stato condannato per mafia. Lo stesso dicasi per i beni confiscati alle organizzazioni criminali. Come noto hanno un valore simbolico notevole. A Roma, ce ne sono decine inutilizzati, lasciati marcire e alcuni ancora occupati dai familiari dei soggetti destinatari di confisca.
Insomma, un fallimento. L’ultima volta che sono stato nel quartiere dei Casamonica, con scorta della polizia, alcuni immobili sotto confisca erano alla mercé di chiunque, ma non nelle mani dello Stato. Piovano petali! A Roma è stato possibile riempire pagine di giornali sul sequestro alla ‘ndrangheta del Café de Paris, ma in silenzio si è assistito alla chiusura del locale mentre era sotto il controllo giudiziario. Che inizi la musica! A Roma alcune zone di quartieri come San Basilio, ma anche Pigneto e San Lorenzo in forma diversa, sono affidate ad organizzazioni in grado di garantire vedette, controlli e spaccio 24 ore su 24.
A Roma politici, imprenditori e magistrati siedono nei ristoranti bene, anche se gestiti dagli amici degli amici. Ricordo con amarezza le parole del sindaco Ignazio Marino che, quando gli chiesi di alcune scelte politiche messe in campo, mi rispose che i giornalisti in questi anni avevano sonnecchiato. La stampa ha di certo colpe, ma sono inutili le accuse nel mucchio senza conoscere nulla del percorso di chi si ha di fronte. Il primo cittadino arrivò a dire in un delirio di onnipotenza che con loro i cattivi vanno in galera, vestendo i panni dello sceriffo. Dimenticando di dire che se muoiono “I re di Roma” – ricordando la gigantografia – i vigili fanno la scorta e, per ammissione degli agenti, si fottono di paura.
Nei palazzi della Capitale mentre si davano lezioni di antimafia ai comuni del casertano, mostrando compassione mista a rassegnazione, e si guardava spaventati Gomorra, un’organizzazione criminale comprava un pezzo di Consiglio comunale di Roma Capitale. Ma quando è venuto il momento di decidere sullo scioglimento per mafia si è scelta la ragion di Stato. Niente azzeramento. Lo ha deciso il prefetto di Roma Franco Gabrielli che, in quelle ore, dissertava delle differenze tra Roma e le terre del Sud, con una visione impregnata di sottovalutazione.
Dissertazioni che ricordano il suo predecessore Giuseppe Pecoraro, che minimizzava in merito alla presenza mafiosa a Roma. Insomma la Capitale è diversa e non bisogna esagerare, figurarsi sciogliere il Consiglio comunale per infiltrazioni della malavita. Come ti permetti di pensarlo? E’ vero, ci sono tutte le condizioni, la legge lo prevede, ma mica stai nel profondo sud, nei paesi di Gomorra, nella culla della ‘ndrangheta. E, infatti, siamo a Roma dove la mafia non esiste e i funerali dell’antimafia di Stato si celebrano da tempo. Ora, però, godiamoci un poco di sana indignazione dei partiti di tgoverno, di chi amministra questa città da anni, ma non si era accorto di nulla.
I quattro petali e il funerale pacchiano hanno solo dato l’estrema unzione all’antimafia di Stato e la stura ad una indignazione per larga parte inutile, e profondamente ipocrita.
NELLO TROCCHIA, cronista.
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