lunedì 7 dicembre 2015

In uscita a gennaio il mio ultimo libro dal titolo "In gabbia"



Il libro narra la storia di Maria, una giovane donna del sud emigrata, con il marito Michele e il piccolo figlio Luigi, a Torino in cerca di un lavoro e di un futuro migliore. Purtroppo le sue aspettative vengono ben presto disattese: per vivere Maria è costretta a fare la donna delle pulizie e la sua esistenza è caratterizzata da privazioni e umiliazioni. La vita di Maria diviene rapidamente un incubo a causa dei maltrattamenti di Michele che sfociano gradualmente in una vera e propria violenza fisica e psicologica. Michele, disoccupato cronico, sfoga sulla moglie tutte le proprie frustrazioni fino a quando, spinto dal facile guadagno, entra a far parte di un’organizzazione criminale dedita allo spaccio di droga. Da questo momento la vita di Maria diventa insostenibile, costretta a convivere con un marito aguzzino che la costringe anche a fare la prostituta. Le vicende che si susseguono sono altamente drammatiche. L’esistenza della protagonista viene sconvolta e soltanto Massimo, il padre di una compagna di classe di Luigi, poliziotto presso la Narcotici, cerca, anche spinto da un sentimento amoroso, di dare un po’ di sostegno psicologico alla donna. La storia prenderà una piega inaspettata e Maria, privata di ogni forma di giustizia, alla fine sarà costretta ad assumere una decisione sofferta ma inevitabile.   

mercoledì 2 dicembre 2015

Lavoro, questo è il problema



Allora, ieri sono usciti i dati sul lavoro del mese di ottobre dell'Istat. La disoccupazione è scesa all'11,50%, ai minimi storici dal 2012. Per contro la disoccupazione giovanile è aumentata superando il 39%. Inoltre è aumentato il numero degli inattivi, cioè di coloro che non cercano più un lavoro, dato molto negativo e che va a influenzare il dato sulla disoccupazione. Infine, altro dato negativo, è diminuito su base mensile il numero degli occupati, mentre resta positivo il saldo su base annua. Ultimo dato c'è stato un boom su base annua dei nuovi occupati over 50 (+900/mila).
Alla luce di tutto ciò, qualcuno è in grado di spiegarmi se il lavoro in Italia sta andando meglio o peggio, perché io non ci ho capito un benemerito cazzo. 

domenica 22 novembre 2015

Onore alle vittime di Parigi



Valeria, Lola, Nick, Marie, Victor, Eric, Aurélie... i sogni spezzati delle vittime, uomini e donne, di 18 nazionalità diverse.

giovedì 24 settembre 2015

Volkswagen, al Ceo dimissionario Martin Winterkom spetterà una pensione da 28,6 milioni. Anche di più con la buonuscita...



Prendete il numero di auto "truccate" da Volkswagen (11 milioni), moltiplicatelo per tre e convertite il tutto in euro: ecco, quella è la "buonuscita" con cui l'ex Ceo ieri dimissionario Martin Winterkorn tornerà a casa. 33 milioni in totale.
Nello specifico, per l'uomo che dice di non "aver fatto nulla" ed aver appreso del Dieselgate dai giornali, ci sarà una pensione da 28,6 milioni di euro. E' quanto emerge dall'ultimo report annuale, che, spiega Bloomberg, "non indica condizioni per cui la somma potrebbe non venire pagata".
A Winterkorn potrebbero anche andare due annalità in caso di uscita per, appunto, totali 33 milioni, ma la parola spetta al board che potrebbe ridurre la somma.
Il 68enne lo scorso anno aveva guadagnato 16,6 milioni di euro, il secondo stipendio più alto della Germania. Fra le circostanze citate dal report c'e' anche la decisione del board di porre fine al mandato di Winterkorn prima della scadenza, ma se ciò dovesse avvenire per un motivo di cui il manager venisse ritenuto responsabile la buonuscita potrebbe venire rivista in modo deciso.
E' l'ultimo dettaglio su uno scandalo destinato ad allargarsi di giorno in giorno. Oggi, per la prima volta, la Borsa regala però seri segnali di ripresa e Volkswagen fa una inversione di tendenza: in linea con i guadagni del 5% segnati alla vigilia con le dimissioni dell'ad Winterkorn, il titolo della casa automobilistica tedesca guadagna il 4,6% a 116,6 euro nelle prime battute della seduta a Francoforte.
Un tiepido sole in attesa, probabilmente, di una nuova bufera. Con l'uscita del Ceo, Volkswagen, che deve affrontare le inchieste interne, dei governi di tutta Europa e quella "penale" americana, corre ai ripari cercando un nuovo amministratore delegato. Potrebbe essere scelto già venerdì prossimo. In pole i nomi di Matthias Mueller, appoggiato dalle famiglie che controllano Vw, e Herbert Diess, un ex dirigente Bmw e scelto quest'anno per guidare la nuova divisione Brand del gruppo.
Per Bloomberg, che cita analisti del settore, "a Mueller potrebbe venire affidato un interim necessario a stabilizzare la società, che verrebbe poi affidata a Diess, oppure ad Andreas Renschler, numero uno della divisione veicoli commerciali. Ma per Commerzbank un possibile candidato sarebbe anche Sascha Gommel, capo di Skoda, la società ceca controllata dalla casa di Wolfsburg. L'unica cosa al momento certa è che il successore non sarà un esterno al gruppo, considerato che il 51% di Vw è in mano alle famiglie Porsche e Piech con la Bassa Sassonia che detiene un ulteriore 20%"
Al successore di Winterkom il compito anche di "coprire" la questione delle lettere. E' infatti emerso che nell'aprile scorso, Volkswagen le ha inviate ai proprietari californiani di vetture diesel per informarli della necessità di "un richiamo per problemi di emissioni". La richiesta era di portare le loro auto ad un concessionario per "l'installazione di un nuovo software che assicurasse che le emissioni fossero ottimizzate per renderle efficienti".
Anche di questa lettera Winterkom non era a conoscenza? Adesso comunque, in attesa di conoscere i nuovi sviluppi sull'inchiesta, l'ex CEO potrà godersi il buen ritiro: dopo che l'azienda lo ha ringraziato "per il suo elevato contributo" gli spetta di diritto una vettura Volkswagen per tutto il periodo della pensione. Non è dato a sapere se sia a Diesel o meno.
 

domenica 20 settembre 2015

Una storia incredibile. Manifesto a Paternò annuncia il battesimo del figlio di un pregiudicato: "Questa creatura è cosa nostra". Rimosso



Una storia che soltanto in Italia può avvenire.
Manifesti di sei metri per tre che annunciano il battesimo, domani, di un bimbo con nome e cognome con la scritta "Questa creatura meravigliosa è cosa nostra" e la foto del piccolo con la coppola sono comparsi in alcuni comuni tra Riposto e Giarre nel catanese. Il questore di Catania, Marcello Cardona, ne ha disposto la rimozione. Il bambino è figlio di un uomo in passato più volte denunciato per associazione mafiosa e ritenuto vicino al clan Laudani. Nel poster si preannuncia la presenza di alcuni cantanti, noti per la loro partecipazioni a programmi televisivi, e anche di artisti neomelodici.
Sono state avviate indagini della polizia. La festa pubblicizzata nel cartellone è privata e si svolgerà in una villa a Giarre. Sul manifesto appare anche il logo di radio Universal. I nomi degli ospiti della serata sono noti nella zona: il cantastorie Luigi di Pino, Angela Troina, Claudio Tropea, i neomelodici Gianni Narcy e Dany Diamante, e la cantante etnea Andrea Azzurra Gullotta. Su Facebook, nelle bacheche degli abitanti della zona, fioccano i commenti.
Io ne posso fare soltanto uno. Utilizzare persino i bambini per dare lustro e notorietà al nome di una "famiglia" è vergognoso e ripugnate.

lunedì 14 settembre 2015

Renzi ha fatto bene ad andare a N.Y. Basta con la Casta ignorante di sport



Flavia Pennetta e Roberta Vinci hanno portato lo sport italiano nella storia e, la prima, ha scritto a lettere cubitali il proprio nome e cognome in uno dei templi del tennis mondiale. Eppure, nel Belpaese i cui confini a volte collimano con la repubblica delle banane, c’è stato qualcuno che di questa straordinaria impresa se n’è infischiato. L’importante era polemizzare con Renzi, reo di essere volato a New York per essere presente all’evento insieme con Malagò, capo dello sport tricolore. Per evitare di fare loro pubblicità, mi guarderò bene dal fare i nomi di quelli che, a vario titolo e a seconda della strumentalizzazione per loro più proficua, hanno tirato ad alzo zero sul blitz del premier. Della Casta e dei suoi immondi privilegi abbiamo le tasche piene. Della Casta ignorante di sport, pure. Avvertenza per i somari che ragliano nei pressi dei palazzi del potere: ignorante sia inteso nel senso etimologico del termine. Dal vocabolario Treccani: “Chi non conosce una determinata materia, che è in tutto o in parte digiuno di un determinato complesso di nozioni”. Per esempio che l’Us Open è una sorta di mondiale tennistico di fine estate, essendo il quarto e ultimo torneo del Grande Slam. Che negli Usa ci sono 20 milioni di praticanti. Che il match del 12 settembre è stato televisivo ai quattro angoli del pianeta. Che sulle tribune di Flushing Meadows c’erano 26 mila spettatori. Che l’Us Open affonda le sue radici nel 1874, l’anno della pubblicazione delle regole del tennis. Che le Sorelle d'Italia hanno tramortito le Grandi del tennis, gli scommettitori e persino la First Lady Michelle Obama che ha twittato tutta la sua delusione alla Williams pietrificata dalla Vinci.
Se fosse stata la finale del mondiale di calcio o della Champions League con un’italiana in campo, è presumibile che pochi politici avrebbero avuto da ridire sulla presenza del capo del governo. Siccome l’evento era tennistico, si è scatenata la saga delle polemiche, in molti casi orchestrata da quelli che speculano sulla pelle dei profughi e ci fanno vomitare come la reporter magiara che fa lo sgambetto a un migrante in fuga con il suo bimbo o il gentiluomo danese che sputa su un gruppo di siriani in coda. Renzi ha fatto bene a piombare a New York, rendendo non soltanto un omaggio concreto allo sport italiano, ma a due donne che l’Italia hanno esaltato, al contrario di troppi cialtroni che dovrebbero servire la cosa pubblica, ma la umiliano e la svergognano ogni giorno con ruberie, corruzione, malversazioni di ogni ordine e grado. E non parliamo del battaglione di inquisiti e condannati che siede in Parlamento, sennò tornano i conati. Una come la Pennetta o come la Vinci, questi non la meritano.

domenica 13 settembre 2015

Giornalisti, tornate alle Scuole Elementari



Kamilah Brok, la polizia non crede che lei, afroamericana, possa essere la proprietaria di una Bmw: rinchiusa per 8 giorni in un ospedale psichiatrico.
 
Otto lunghissimi e terribili giorni chiusi in una cella di un'ospedale psichiatrico solo perché la polizia non le aveva creduto. A cosa? Che una donna di colore potesse essere la proprietaria di una Bmw. Sta facendo molto discutere in America, come ha raccontato Huffpost Usa, la storia della banchiera trentaduenne Kamilah Brok. Fermata ad un semaforo perché "non aveva le mani sul volante" e per un controllo la donna è stata prima arrestata dalla polizia di Harlem e poi rinchiusa per otto giorni nell'ospedale psichiatrico di Harlem. Sedata e forzata a prendere medicinali contro la sua volontà.
Oggi Kamilah è tornata a raccontare la sua storia in tv parlando di quei terribili giorni, della denuncia avanzata contro la polizia alla Corte Distrettatuale dello stato di New York e di quei soldi (13 mila dollari di spese mediche) che non intende pagare per tutto ciò che le è successo. "Se al mio posto ci fosse stata una donna bianca sarebbe accaduto lo stesso?" chiede in una intervista ad Huffpost.
Lo scorso anno la donna stava ascoltando musica a tutto volume nella sua Bmw mentre era ferma al semaforo di Harlem.
Ballava, picchiettava: la polizia l'ha fermata chiedendole di uscire dalla macchina. Il veicolo è stato preso in custodia e, dopo essere stata trattenuta senza alcuna specifica accusa, lei ha provato a riprenderselo. Quando gli agenti hanno saputo che era lei la titolare di quella BMW 325Ci 2003, secondo il racconto della donna, non le hanno creduto. "Bugiarda" le avrebbero detto prima di ammanettarla e trasportarla all'ospedale. Sedata, denudata e trasportata su una barella la Brock avrebbe vissuto un calvario di otto giorni. Una storia che, se confermata, non fa che incrementare una lunga lista di inquietanti episodi razzisti che l'America ha vissuto negli ultimi mesi.
 
Ho pubblicato questo articolo di una primaria testata giornalistica particolarmente interessante non solo per il suo contenuto, ma anche per evidenziare ciò che sta accadendo sempre più spesso sulle pagine dei nostri quotidiani. Errori grammaticali madornali commessi nella stesura degli articoli medesimi da parte di chi li scrive. Dando per scontato che i giornalisti utilizzino i computer per scrivere i loro servizi e che quindi possano usufruire dei normali correttori contenuti nei programmi utilizzati, quello che lascia basiti è che non solo non se ne tenga conto, ma che non ci sia nessun controllo ortografico prima di pubblicare l'articolo. Che dire? Ormai la lingua italiana è diventata un optional.
In questo "pezzo" ci sono tre errori grammaticali da far impallidire una qualsiasi insegnante di italiano. Vi invito a trovarli.   

martedì 8 settembre 2015

Un racconto incompiuto...


 
Purtroppo devo interrompere la pubblicazione del racconto "Stalking - Una storia vera" di Laila Senna.
Laila sta male.
Il suo stalker  ha ripreso a perseguitarla con ingiurie, insulti e minacce e lei non riesce più a reggere il peso di questo suo dramma personale.
Laila è sola, nessuno la sta aiutando, è alla mercé del suo aguzzino.
Io mi chiedo come sia possibile che lo stalker , tra l'altro già oggetto di ripetute denunce, possa liberamente e pubblicamente distruggere la vita di una donna.
Questo caso dimostra ancora una volta tutti i limiti dell'attuale legge contro lo "stalking". Il problema non è stato risolto. Anzi. La certezza della pena per i persecutori, anche recidivi, non esiste.
L'unico modo perché finiscano in galera è che ammazzino la loro vittima.
Complimenti al nostro legislatore e alle Forze di Polizia che hanno il preciso compito di difendere l'incolumità dei cittadini, ma che nei casi di stalking fanno esattamente il contrario.
Forza Laila, ti siamo vicini.
 

lunedì 24 agosto 2015

Casamonica: a Roma si è celebrato il funerale dell’antimafia di Stato



L’altro giorno a Roma, mentre la musica del Padrino accompagnava l’ultimo viaggio terreno di Vittorio Casamonica tra petali e gigantografia, si celebrava il funerale dell’antimafia di Stato. Esequie iniziate anni fa in un silenzio, ovviamente, tombale. La Questura ha minimizzato, la Prefettura ha ignorato, il prete non ha capito, il Comune ha dormito. Ora dopo l’indignazione da tastiera bisogna capire se qualcuno di questi vertici pagherà con la destituzione.
Giorni fa mi era giunta voce, poi confermata, che il colonnello Ultimo era stato esautorato dal comando del Noe, il nucleo ecologico dei carabinieri. In Italia chi indaga colletti bianchi, mafiosi e politici conniventi viene prontamente rimosso. Meglio chi sonnechia, abbozza, non crea imbarazzi.
Tornando al pacchiano funerale penso che da tempo assistiamo alle celebrazioni della scomparsa dell’antimafia di Stato. A Roma è così da anni e senza che i politici indignati per i petali e le note del Padrino abbiano mosso un dito. I funerali dell’antimafia di Stato si celebrano da tempo per incapacità e sottovalutazione degli organismi posti alla repressione del fenomeno,  con le eccezioni di rito, ma anche per la serena compiacenza di gran parte della società civile (?) di fronte a portatori sani di voti e soldi, che come noto, non hanno odore.
A Roma la mafia non esiste e già questo è un ottimo inizio di funerale. Non esiste per la giustizia. Fino al 2012, infatti, con la condanna di alcuni appartenenti a una famiglia proveniente dal casertano, non c’era stata nessuna sentenza per 416 bis, il reato associativo mafioso. E chi conosce bene le aule dei tribunali ti spiega che il lavoro di pm e polizia giudiziaria, per anni, è stato vanificato da sentenze che chiarivano che nella capitale le mafie non esistono perché non c’è omertà.
E i Casamonica non sono boss, nessuno di loro è mai stato condannato per mafia. Lo stesso dicasi per i beni confiscati alle organizzazioni criminali. Come noto hanno un valore simbolico notevole. A Roma, ce ne sono decine inutilizzati, lasciati marcire e alcuni ancora occupati dai familiari dei soggetti destinatari di confisca.
Insomma, un fallimento. L’ultima volta che sono stato nel quartiere dei Casamonica, con scorta della polizia, alcuni immobili sotto confisca erano alla mercé di chiunque, ma non nelle mani dello Stato. Piovano petali! A Roma è stato possibile riempire pagine di giornali sul sequestro alla ‘ndrangheta del Café de Paris, ma in silenzio si è assistito alla chiusura del locale mentre era sotto il controllo giudiziario. Che inizi la musica! A Roma alcune zone di quartieri come San Basilio, ma anche Pigneto e San Lorenzo in forma diversa, sono affidate ad organizzazioni in grado di garantire vedette, controlli e spaccio 24 ore su 24.
A Roma politici, imprenditori e magistrati siedono nei ristoranti bene, anche se gestiti dagli amici degli amici. Ricordo con amarezza le parole del sindaco Ignazio Marino che, quando gli chiesi di alcune scelte politiche messe in campo, mi rispose che i giornalisti in questi anni avevano sonnecchiato. La stampa ha di certo colpe, ma sono inutili le accuse nel mucchio senza conoscere nulla del percorso di chi si ha di fronte. Il primo cittadino arrivò a dire in un delirio di onnipotenza che con loro i cattivi vanno in galera, vestendo i panni dello sceriffo. Dimenticando di dire che se muoiono “I re di Roma” – ricordando la gigantografia – i vigili fanno la scorta e, per ammissione degli agenti, si fottono di paura.
Nei palazzi della Capitale mentre si davano lezioni di antimafia ai comuni del casertano, mostrando compassione mista a rassegnazione, e si guardava spaventati Gomorra,  un’organizzazione criminale comprava un pezzo di Consiglio comunale di Roma Capitale. Ma quando è venuto il momento di decidere sullo scioglimento per mafia si è scelta la ragion di Stato. Niente azzeramento. Lo ha deciso il prefetto di Roma Franco Gabrielli che, in quelle ore, dissertava delle differenze tra Roma e le terre del Sud, con una visione impregnata di sottovalutazione.
Dissertazioni che ricordano il suo predecessore Giuseppe Pecoraro, che minimizzava in merito alla presenza mafiosa a Roma. Insomma la Capitale è diversa e non bisogna esagerare, figurarsi sciogliere il Consiglio comunale per infiltrazioni della malavita. Come ti permetti di pensarlo? E’ vero, ci sono tutte le condizioni, la legge lo prevede, ma mica stai nel profondo sud, nei paesi di Gomorra, nella culla della ‘ndrangheta. E, infatti, siamo a Roma dove la mafia non esiste e i funerali dell’antimafia di Stato si celebrano da tempo. Ora, però, godiamoci un poco di sana indignazione dei partiti di tgoverno, di chi amministra questa città da anni, ma non si era accorto di nulla.
I quattro petali e il funerale pacchiano hanno solo dato l’estrema unzione all’antimafia di Stato e la stura ad una indignazione per larga parte inutile, e profondamente ipocrita.

NELLO TROCCHIA, cronista.

giovedì 20 agosto 2015

De Laurentiis sciacquati la bocca



Negli ultimi tempi si parla sempre più spesso di razzismo nei confronti dei tifosi napoletani, di curve avversarie inneggianti l'eruzione del Vesuvio, di Napoli che puzza ed è appestata.
Questo è innegabilmente un fenomeno da stigmatizzare e condannare ed è giusto applicare le severe sanzioni previste per i casi della specie. 
Detto questo, c'è un personaggio napoletano che fa proprio di tutto per attirarsi le antipatie e l'irritazione dei non napoletani.
Mi riferisco ad Aurelio De Laurentiis, Presidente del Napoli Calcio, personaggio che si caratterizza per la sua continua arroganza e presunzione.
L'ultima sua "uscita" l'ha fatta ieri.
Cos'è successo? E' successo che ha cercato disperatamente di acquistare un calciatore del Torino Calcio. Ma dato che il Presidente del Torino Calcio, Urbano Cairo, si è "permesso" di rifiutare l'offerta del Napoli giudicandola "non congrua", il Sig. De Laurentiis ha affermato, dopo aver espresso parole di disprezzo nei confronti del giocatore in questione ("non vale più di 12 mln. di euro" contro una richiesta di 25 mln.), "che giocare nel Toro non è come giocare con la maglia azzurra".
Allora, premesso che la frase sarebbe risultata offensiva anche se rivolta all'Albinoleffe, espressa nei confronti del Toro ha letteralmente scatenato le reazioni imbufalite dei tifosi della squadra granata, che hanno inondato i Forum di dichiarazioni stizzite.
A questo punto c'è da chiedersi se il Sig. De Laurentiis conosca la storia del Torino Calcio, una delle società italiane più blasonate di tutti i tempi con un seguito di milioni di tifosi in tutto il mondo.
E il suo Napoli cos'è? E' una società pescata in Serie C dopo il fallimento nel 2004 e che da allora, nonostante investimenti milionari, ha vinto soltanto due Coppe Italia e una Supercoppa Italiana.
Risultato: in 11 anni Scudetti = ZERO.
Per concludere mi rivolgo direttamente al Sig. De Laurentiis e gli di dico che d'ora in avanti, soltanto dopo avere avuto una squadra con 11 campioni che ha vinto 4 scudetti di fila, che ha avuto 10 giocatori nella Nazionale Italiana e che soltanto un destino bastardo ha stroncato per sempre, ecco soltanto allora potrà nuovamente pronunciare la parola "Toro".            

martedì 18 agosto 2015

Un po' di Megan e un po' di Angelina e ottieni il volto perfetto



Cosa fa un volto perfetto? Secondo alcune teorie a rendere speciale un viso è la simmetria che avvicina alla perfezione l'aspetto di una persona. Pedro Berg Johnsen però si è spinto oltre e prendendo i volti di alcuni dei divi più belli di sempre si è divertito a mixarli creando così i volti perfetti. E scoprendo che alcuni dei nostri beniamini diventano speciali se mixati ai loro colleghi. E così se prendete Megan Fox, già bellissima di suo, e l'assemblate con Angelina Jolie ottenete il capolavoro che vedete in questa foto. “Il mescolamento è fatto da un programma che si chiama SqirzMorph, è gratis e abbastanza semplice da usare”, ha dichiarato Johnsen, che ha pubblicato i suoi lavori su thatnordicguy.deviantart.com. Lui si è divertito con star del calibro di Colin Farrell, Brad Pitt, Scarlett Johansson... Ora tocca a voi provarci!

lunedì 10 agosto 2015

Il blog di Beppe Grillo sull’immigrazione: il razzismo a 5 stelle



A chi non è affetto da Alzheimer e conserva ancora qualche cellula cerebrale per le più basiche sinapsi, il post del pentastellato consigliere comunale di Torino, Vittorio Bertola, contenente proposte politiche in tema di immigrazione, non avrà procurato neanche un minimo spostamento del sopracciglio destro. Il post non rappresenta, infatti, nessuna novità circa le posizioni (cripto)fasciste e di destra, dunque razziste, espresse da molti esponenti di tale movimento, sia prima che dopo l’alleanza europea con Ukip. Un mix di ignoranza, di razzismo, di linguaggio da bar e di brama populista, mirante a togliere voti e simpatie a forze politiche più simili (almeno rispetto all’idea complessiva di società), ovvero al cartello elettorale Lega Nord-Casa Pound, permea molte parole delle proposte del consigliere.
In altri tempi, soffermarsi a leggere – figuriamoci poi ad analizzare – testi simili sarebbe stata una palese perdita di tempo, anche perché i ragionamenti (si fa per dire) contenuti nel testo costringono a scendere ad un livello molto basso della riflessione, ovvero impongono prima di ogni altra cosa lo smascheramento delle falsità delle informazioni: non c’è spazio per la discussione se non su un piano di verità. Senza questa operazione primaria, ma essenziale, risulta molto difficile provare a smontare la retorica vuota che nasconde la struttura razzista del testo. Ma chi produce e riproduce l’odio e il razzismo nei confronti dei profughi oggi in Italia – che serve a legittimare quella che è stata giustamente definita “guerra agli immigrati” – conta molto su questa strategia comunicativa, che possiamo anche definire “shock and awe strategy” (“stordisci e sgomenta”).
Prima di proporre qualsiasi analisi o misura concreta da intraprendere, si forniscono dati “shock”, tutti falsi oppure abilmente intrecciati con pochi veri; poi, una volta ottenuto lo stordimento del (e)lettore, si introduce qualche finto elemento di analisi, qualche domanda retorica oppure si fa riferimento a qualche episodio di cronaca nera o giudiziaria (che poco o nulla c’entra con l’argomento, ma tant’è) per creare sgomento e spianare così la strada alla proposta concreta che arriva puntuale alla fine. La proposta solitamente appare semplice (cioè semplicistica): “giro di vite”, “tutti a casa, anche a forza se necessario”, “niente ricorsi” etc., ma senza mai spiegare dettagliatamente il come e – non ne parliamo neanche – della fattibilità e dei costi. Naturalmente, si inserisce qua e là qualche finta distinzione tra profughi buoni e profughi cattivi (“chi ha diritto e chi non ne ha”), anche perché occorre pur sempre conservare un appeal istituzionale per rendersi interlocutori “credibili”. Ciò che abbonda, fino alla nausea, è la contrapposizione tra “noi” e “loro”: “pagato da noi”, “ a spese nostre” e altre espressioni simili (senza mai andare a leggere i dati Istat sulla ricchezza prodotta dalle popolazioni straniere in Italia, ricchezze di cui lo Stato italiano si appropria e che solo in parte spende per loro).
Ora, io non so se il consigliere è consapevole di tutto ciò, oppure se riproduce inconsapevolmente strategie sviluppate da altri. Non è importante. Potrebbe importare a coloro che vogliono conoscere il livello di acume del consigliere, ma a me non importa sapere ciò. La ritengo del tutto irrilevante. Ciò che è importante qui è smascherare il razzismo delle sue proposte. Nello spazio di un post, però, non si possono proporre analisi lunghe, bisogna essere sintetici ed efficaci. Dunque, sono costretto a scegliere cosa dire e cosa non dire: mi limiterò pertanto a rivelare soltanto le falsità (e neanche tutte) delle cose scritte, il resto della decostruzione la lascio a chi legge e ha voglia di esercitarsi.
1. Solo l’Italia concede in massa permessi per motivi umanitari, afferma nel primo punto del documento il consigliere comunale (“Da noi quasi un asilo politico su due viene dato a persone che non ne avrebbero diritto secondo i trattati internazionali sui rifugiati, ma che noi accogliamo comunque per gravi motivi umanitari”).
Non è vero. Il permesso per motivi umanitari esiste in quasi tutti i paesi dell’Unione europea. I dati forniti dall’Eurostat smentiscono poi il fatto che in Italia si faccia un abuso di tale titolo di soggiorno. Semmai, in Italia, si registra un minore riconoscimento dello status di rifugiato o della protezione sussidiaria rispetto ad altri Paesi europei, nei confronti di persone e popolazioni provenienti dalle medesime zone di guerra e persecuzione. E’ questo che ha denunciato l’Unhcr, ovvero l’Agenzia Onu che si occupa di rifugiati e richiedenti asilo. In ogni caso, affinché sia chiaro, in Italia, tale permesso è rilasciato: a) quando la Commissione territoriale raccomanda al Questore di rilasciare tale documento quando ricorrono “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello Stato italiano” (eh, mi spiace, esiste ancora formalmente in vigore la Costituzione, che cosa possiamo fare?); b) quando ricorrano gravi motivi di carattere umanitario (come ribadito più volte dai Tar, - noti centri eversivi in questo Paese - si veda, per tutte, la sentenza Tar Lazio n. 8831/2008); c) in caso di riconoscimento della protezione temporanea, ai sensi dell’art. 20 del TU, per rilevanti esigenze umanitarie, in occasione di conflitti, disastri naturali o altri eventi di particolare gravità in Paesi non appartenenti all’Unione Europea; d) quando lo straniero è inespellibile ai sensi dell’art. 19 del D. Lgs n. 286/98, perché in caso di ritorno potrebbe rischiare l’incolumità propria e della famiglia (bazzecole, che vogliamo che sia mai?);e) quando si tratta di persone inserite in programmi di protezione sociale in favore delle vittime di sfruttamento.
Quindi, che cosa si sta proponendo, di cancellare la Costituzione e quelle poche norme umane che esistono a garanzia dei diritti inviolabili? E’ questa la proposta?
2 e 3. Chi non è riconosciuto come rifugiato deve essere spedito a casa “a forza se necessario” e, per di più, (si veda il punto 3 della proposta) non è da considerare soggetto degno di godere delle tutele giuridiche e processuali garantite agli altri individui che calpestano il territorio nazionale.
Sarò veloce su questi due punti: prima ancora di qualsiasi considerazione delle leggi in vigore, nazionali ed internazionali, bisognerebbe che qualcuno prenda sul serio queste proposte geniali (ma com’è nessuno ci aveva mai pensato?) e con una matita e una carta faccia i calcoli dei costi economici e finanziari di tale proposta. Dopodiché, venga a dirci quante manovre finanziarie servirebbero per far fronte a simili operazioni. Piuttosto, ciò di cui si sente fortemente il bisogno è sviluppare una seria riflessione collettiva per comprendere a chi giova davvero avere sul territorio masse di persone/lavoratori senza documenti. Quanto alla proposta sui tribunali speciali per i profughi, posso solo segnalare che non è nuova nella storia, a cominciare dalla Magna Carta ad oggi, pertanto ulteriori commenti sarebbero superflui.
4. Sulla necessità di trasformare l’accoglienza in accoglienza custodiale, cioè in una prigione, ci sarebbe molto da scrivere, in termini sociologici e antropologici, cioè sul concetto di accoglienza nelle società odierne. Mi soffermerò però soltanto sulla parzialità (e dunque la falsità) dell’informazione data per giustificare la proposta del carcere per i profughi, ovvero la notizia che un profugo a Torino abbia commesso rapine mentre era ospitato in uno Sprar. Ebbene, senza voler contestare i fatti riportati nel testo del consigliere, e senza stare qui a dire che non tutti sono uguali (ancora a questo punto stiamo dopo decenni di immigrazione?) io riporto a mia volta altri dati: secondo le statistiche delle prefetture del Nordest “dove ci sono i profughi i reati sono in calo”. Allora, come la mettiamo?
Io chiudo qui. Voi continuate a scovare le falsità del documento. Potrebbe essere un bel gioco sulla spiaggia.

domenica 9 agosto 2015

Sergio Staino scrive a Gianni Cuperlo: "Non vi sopporta più nessuno: così uccidete la sinistra"


 
"Caro Gianni, non vi sopporta più nessuno: così uccidete la sinistra". Gianni è Cuperlo, esponente della sinistra dem che ha sfidato Matteo Renzi all'ultimo congresso del Pd. Mentre l'autore del j'accuse è Sergio Staino, il vignettista inventore di Bobo, che in una lunga lettera pubblicata sull'Unità chiede a colui che aveva sostenuto come segretario del partito di non distruggere il Pd.
"Già il fatto che tu metta sullo stesso piano le mie critiche a Berlusconi con le mie mancate critiche a Renzi, dimostra per l'ennesima volta un errore di valutazione in cui tu mi sembra sia caduto in pieno: considerare simili Berlusconi e Renzi (...) Oggi, così come vi comportate con Renzi, a mio avviso state pericolosamente aiutando una futura tragica vittoria di un Salvini o un Grillo."
Staino poi se la prende con i vecchi dirigenti del Pd. (...).
"Si autoassolvono pensando che Renzi non c'entri niente con loro, che sia come un fungo nato dal nulla, un fungo malefico che va estirpato in modo che il partito ritorni nelle loro mani. Quale sogno demenziale e quale cecità politica nel rinunciare caparbiamente ad una verità dura ma realistica: tutti loro, Gianni, sono ormai fuori dalla storia, nel bene e nel male hanno fatto il loro tempo e sono, come capita a tutti, finiti".
Il vignettista pone anche la sua attenzione sugli scopi della minoranza Pd. "Allora, ti chiedo, che senso ha fare una guerriglia interna al Pd quando non si hanno obbiettivi su cui spostare l'opinione, le speranze e la forza dei nostri elettori? Cosa stai offrendo di concreto al loro smarrimento? Nulla. Solo la coscienza che Renzi è una merda. E allora? È chiaro che questo genera scoramento, amarezza e anche al miglior compagno viene la voglia di dire "ma andate a fare in culo tutti quanti". In questo modo state uccidendo la sinistra, date un'immagine di voi stessi come degli estremisti disperati che urlano su tutto e tutti senza sapere cosa proporre (...) Dovete smetterla con questa strategia suicida. Vai fra la gente, esci fuori dal gruppetto della Sinistra Dem e dai quattro vecchi marpioni che vi sovrastano. Vai fra la gente, come ho fatto io in varie situazioni, in un cinema affollato, in una trattoria, in un autobus e urla: "questa Sinistra Dem ci sta veramente scassando i coglioni". Avrai come risposta una standing ovation, non vi sopporta più nessuno tranne, ovviamente, Renzi il quale con il vostro atteggiamento così assurdo e fuori dalla storia del nostro partito, si può permettere di twittare: "Tanti auguri ai gufi"".

mercoledì 5 agosto 2015

"Thriller trilogy", quota 6.000 !



Buongiorno a tutti!
Non ho portato il mio eBook sulla vetta di una montagna in Nepal! 6.000 è il numero raggiunto delle copie vendute del mio best seller "Thriller trilogy". Questo libro è stato un esperimento direi ottimamente riuscito, altrimenti non si spiegherebbe il fatto che ormai a due anni di distanza dalla sua uscita, continui a vendere tante copie. Devo dire che sono veramente entusiasta di questo successo. A questo libro sono particolarmente affezionato e spero che continui a suscitare emozioni nei suoi lettori.    

lunedì 27 luglio 2015

Il degrado di Roma siamo noi



Da romano che spende lunghi periodi all’estero, la prima cosa che noto quando torno a Roma è la sporcizia, perfino fra le piste di atterraggio dell’aeroporto di Fiumicino (fateci caso). Sporcizia che, temo, in città esisteva da prima che Ignazio Marino fosse eletto sindaco. I romani mi diranno: “E’ vero, ma oggi è peggio di prima” e questo pure è vero, e ne so il motivo: il sindaco attuale ha fatto chiudere nel 2013 il sistema Malagrotta (la discarica di Roma che per alcuni decenni ha gestito in regime di sostanziale monopolio l’intera raccolta di rifiuti della città, trattandoli in modo non conforme alle leggi e pericoloso per l’ambiente) applicando una direttiva europea ed evitando alla cittadinanza di dover pagare una cospicua multa. In una città normale, questo non avrebbe comportato un peggioramento della raccolta dei rifiuti, ma a Roma c’è, come sappiamo, un capillare sistema criminale che sa come opporre resistenza al legittimo potere politico locale che, di punto in bianco, decide di non tenere conto degli interessi di Mafia Capitale.
Questi però sono discorsi di macro-politica/criminalità. Che ci riguardano tutti, intendiamoci bene, ma fino a un certo punto. Qui invece voglio fare un discorso di micro-politica e tirare in ballo il comportamento del singolo cittadino romano.
Mi riferisco al cittadino romano che ha un cane, e lo porta a defecare sul marciapiede senza poi raccoglierne gli escrementi e gettarli nel contenitore dell’umido, come succede in tutte le altre città occidentali del mondo.
Mi riferisco al cittadino romano che prende le bici del bike sharing. Nel senso letterale: le prende, le smonta e si rivende i pezzi, affossando così un servizio che nel resto del mondo (anche non occidentale) prospera.
Mi riferisco al cittadino romano che prende le auto del car sharing. Come sopra, o che si diverte a vandalizzarle o lasciarle col serbatoio vuoto: haha, bada, che sghicio.
Mi riferisco al cittadino romano che fuma, e poi getta il mozzicone di cicca per terra, anziché spegnerlo nelle apposite ceneriere. Con l’aggravante che se a terra hai dei sampietrini di origine antico romana (e permettetemi di sottolineare la cosa: se hai l’incredibile fortuna di avere a terra dei sampietrini di origine antico romana), magari il filtro s’insinua fra un cubetto e l’altro e rimane là in saecula saeculorum.
Mi riferisco al cittadino romano giovane, con la gomma in bocca. Fino a che non la sputa sul marciapiede, dove rimarrà anch’ella in saecula saeculorum, a meno che un assai pio netturbino passi con una sostanza chimica e un raschietto gomma per gomma. Troppo anche per la città santa, no?
Mi riferisco alla cittadina romana, magari di una certa età, che va nelle aiuole del giardino sotto casa a sradicare le rose o le viole, e che se le dici qualcosa ti risponde: “Ma che vuole? Non sono mica sue, queste non sono di nessuno!
Mi riferisco al cittadino romano che produce immondizia e non si cura di differenziarla. Poi magari butta l’intero sacco di immondizia poggiandolo con grazia di fianco al cassonetto e non dentro, perché sai, fa un caldo, e voja de aprì er cassonetto sartame addosso che io me scanso.
Mi riferisco al cittadino romano amante della musica. Del suo clacson, che suona come sfogatoio delle sue frustrazioni quotidiane. Suònate ‘stacippa.
Mi riferisco al cittadino romano che si lamenta del traffico di Roma, salvo poi parcheggiare sempre in doppia fila e spesso in curva (un caso per tutti: andate a vedere Via Nemorense fra piazza Acilia e piazza Santa Emerenziana, che non è Tor Bella Monaca ma l’elegante Quartiere Trieste. Non trovi parcheggio? Vai in un garage, arriva in autobus, a piedi, in bici, in monopattino, in taxi. Non parcheggiare in doppia fila. Punto.)
Mi riferisco al cittadino romano che guida uno scooter. Sui marciapiedi o sulle corsie preferenziali di autobus, taxi, ambulanze e polizia, perché si sa, l’idea di stare in fila dietro le auto nella corsia per il traffico normale, come prescrive il Codice della strada, è una ipotesi da: “Me stai a cojonà?
Mi riferisco al cittadino romano che lavora per Atac, non importa se come manager o semplice autista, e con i suoi comportamenti ha contribuito a diffondere il credo che “ATAC” non sia un acronimo ma la prima parte dell’espressione romana “Ataccatearcazzo“. E visto che sono ore in cui va di moda un video di un autista Atac che spiega come tutto dipenderebbe solo dalla “MM”, cioè dalla “mancanza materiale” per riparare i mezzi – cosa che sicuramente è un problema da affrontare, e bene ha fatto il sindaco a licenziare i manager responsabili dello sfacelo – faccio notare che su You Tube sono presenti dozzine di video che testimoniano come i bus della capitale siano spesso guidati da dipendenti che assumono, diciamo così, un comportamento anti-professionale. Lo stesso vale per quei cittadini romani che dovrebbero guidare le metropolitane, che scioperano perché il sindaco gli vuole imporre – udite udite – di timbrare il cartellino in entrata e uscita dal lavoro. Quale affronto, eh? Non che in sé la timbratura del cartellino garantisca da comportamenti criminali, come sappiamo, ma insomma, è un modo per cercare di monitorare e limitare fenomeni di questo genere.
Mi riferisco al cittadino romano che possiede un taxi. E non occorre aggiungere altro.
Come immaginate, potrei continuare a lungo. Se questi e altri mille comportamenti non sono affrontati a livello micro, possiamo fare sindaco anche Churchill redivivo, ma la situazione non migliorerà.

, Scrittore e giornalista

sabato 25 luglio 2015

Rc auto: cosa succede in caso di incidente con un veicolo non assicurato?



Secondo i dati diffusi ad inizio mese relativi all’anno 2014 dall’Ania (Associazione Nazionale fra le Imprese Assicuratrici), sono quasi 4 milioni i veicoli circolanti sul territorio nazionale privi di assicurazione RC auto, pari al all’8,7% dell’intero parco auto che ogni giorno percorre le arterie del nostro Paese. Il dato diffuso a inizio luglio, di per sé già sconcertante, assume una maggiore gravità se confrontato con quello del 2013 in quanto le auto senza assicurazione sono aumentate da 3,5 a 3,9 milioni, in sostanza circa 1 automobilista su 10 viaggia senza copertura assicurativa.
Nel rapporto Ania è indicata anche la distribuzione di questo fenomeno che presentava dati diversi a seconda delle zone: più alta al Sud (13,5%) e al Centro (8,5%), meno al Nord (6,2%). Se un automobilista su dieci viaggia liberamente senza una polizza RC, vuol dire anche che nel malaugurato caso di incidente abbiamo una possibilità su dieci di incontrare quell’automobilista fuori legge. Un fuorilegge perché è bene ricordare che chi viaggia senza assicurazione sul proprio veicolo non è un simpatico buontempone che “rischiando” risparmia il costo della polizza, ma è un individuo che infrange la legge, precisamente l’articolo 193 del Codice della strada e rischia una multa che può variare da un minimo di 841 euro ad un massimo di 3.287 euro.
La domanda che mi è sorta quindi è stata: ma se dovessi avere un incidente con un soggetto non assicurato, come dovrei comportarmi? Domanda che ho rivolto direttamente a un agente assicurativo.
La sua risposta è stata che nel caso in cui la nostra polizza sia una Kasko o abbia una garanzia Collisione possiamo stare tranquilli. Nel primo caso, si tratta di una polizza in cui l’assicuratore si impegna a indennizzare l’assicurato per i cosiddetti “guasti accidentali”, ossia i danni materiali e diretti subiti dal veicolo assicurato, nel secondo caso invece la garanzia collisione assicura l’auto per tutti i danni derivanti da collisione con un altro. In entrambi i casi è fondamentale che il veicolo con cui abbiamo avuto lo scontro venga identificato, quindi sarà importante riuscire a segnarsi il numero di targa.
Nel caso in cui la nostra polizza non abbia una garanzia Collisione o non sia una Kasko, in caso di incidente con un soggetto non assicurato l’unica via è adire al Fondo di garanzia per le vittime della strada, che ha il preciso compito di intervenire tutte le volte che in un incidente stradale viene coinvolto un mezzo non assicurato oppure un mezzo che non viene identificato. Il Fondo di Garanzia per le vittime della strada si attiva su richiesta del danneggiato, la richiesta di risarcimento deve essere inviata alla compagnia assicuratrice che gestisce la procedura all’interno della regione nella quale è avvenuto l’incidente. L’intervento del Fondo per i casi indicati di seguito è limitato al massimale di legge vigente al momento del sinistro.
Per chi si chiedesse con quali finanziamenti venga alimentato questo Fondo, deve sapere che tutti quelli che pagano regolarmente l’assicurazione del proprio mezzo contribuiscono al finanziamento con un’aliquota obbligatoria del 2,5% applicata ad ogni premio RC Auto.
Tutti ci auguriamo di non avere mai incidenti, ma nel caso capitasse e accadesse proprio con un fuorilegge non assicurato, almeno adesso sapete come fare.

giovedì 23 luglio 2015

Nozze gay, l’Unione europea non c’entra niente



Una precisazione: la sentenza della Corte di Strasburgo sul riconoscimento legale per le coppie dello stesso sesso non c’entra niente con l’Unione europea.
La Corte europea dei diritti umani (Cedu) con sede a Strasburgo ha stabilito che l’Italia deve introdurre il riconoscimento legale per le coppie dello stesso sesso. Al di là del giudizio di merito sulle unioni Lgbt, va sottolineato che l’opinione pubblica e buona parte dei media italiani hanno erroneamente attribuito la responsabilità di questa decisione all’Ue o all’Europa. In realtà la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo non è un’istituzione dell’Unione europea bensì un organo giurisdizionale internazionale alla quale aderiscono tutti i 47 membri del Consiglio d’Europa, un altro organo che non fa parte dell’Unione europea.
Un’inutile precisazione? Assolutamente no. In Italia troppo spesso si attribuiscono prese di posizione, sentenze e leggi ad una fantomatica “Ue” che in realtà vuol dire poco o niente. “L’Ue impone le unioni gay”. “L’Ue vieta il tonno rosso”. “L’Ue vuole l’austerità”. Tre frasi in bocca a milioni di persone, tre titoli letti in migliaia di giornali, non solo scorretti ma a ben guardare faziosi. Direttive, sentenze, prese di posizione e tanto altro sono il frutto di processi riconducibili a organismi ben più precisi che la generica “Ue” e che spesso, come nel caso della Cedu, non c’entrano niente con l’Unione europea.
Per comprendere i rischi che si corrono a buttare tutto nel calderone della “Ue”, è come se in Italia si attribuisse ad una generica “Italia” le proposte di legge del Parlamento, i vari passaggi di un testo in Senato, i decreti del governo, le affermazioni del presidente del Consiglio, le dinamiche dei diversi partiti, le sentenze della Corte Costituzionale e tanto altro. Insomma, non si capirebbe più niente e non si farebbe alto che attribuire all’ “Italia” meriti e colpe di un mare magnum normativo e politico del quale non si capirebbe niente, proprio come oggi succede con la “Ue”.
Qualche altro esempio: l’austerità non è stata imposta dall’Ue bensì decisa principalmente dall’Eurogruppo (19 ministri delle finanze dei Paesi dell’eurozona) e dal Consiglio europeo (capi di Stato e di governo). La Ue non si è lavata le mani degli immigrati in quanto la Commissione europea (esecutivo comunitario) aveva proposto un sistema di distribuzione obbligatorio poi cassato dal Consiglio Ue affari interni (28 ministri degli interni dei Paesi Ue). L’elenco potrebbe essere lunghissimo.
Una buona responsabilità ce l’hanno i media. Per esigenze di brevità, e a volte anche per un pizzico di ignoranza della materia europea, molti media utilizzano la “breve” sigla Ue a casaccio, stessa cosa per le città “Bruxelles”, “Strasburgo” e “Lussemburgo”, città diverse dove ci sono istituzioni diverse e appartenenti a contesti istituzionali diversi. Responsabilità anche per il sistema educativo italiano, dove l’educazione civica europea resta una chimera. Responsabilità, infine, anche ai politici nostrani, alcuni dei quali ignoranti come non mai, altri consapevoli ma ai quali fa comodo giocare sull’equivoco “Ue”.
Tornando alla sentenza della Corte europea dei diritti umani, come detto, non si tratta di un’istituzione dell’Unione europea, bensì di un organismo internazionale le cui sentenze i 47 Paesi europei (e non solo i 28 dell’Ue) si sono impegnati a rispettare in quanto la Corte è stata creata proprio per far rispettare la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950 alla quale, in teoria, tutti dovremmo credere.

lunedì 20 luglio 2015

Quest'uomo mi fa ribrezzo



"Morte è sempre brutta notizia, ma stavolta non sono troppo dispiaciuto", scrive il segretario della Lega Nord su twitter, commentando il suicidio in carcere di Ludovico Caiazza, accusato di essere l'assassino del gioielliere romano Giancarlo Nocchia.
Il segretario della Lega Nord si riferisce al suicidio del 32enne Ludovico Caiazza, accusato di essere l’assassino del gioielliere romano Giancarlo Nocchia. Fermato domenica su un treno a Latina, Caiazza è stato trovato impiccato con un lenzuolo, intorno alla mezzanotte, dagli agenti della polizia penitenziaria del reparto grande sorveglianza del carcere di Regina Coeli.
Sfruttare ogni episodio di cronaca a fini puramente propagandistici con la finalità di guadagnare qualche voto in più andando a speculare su quello che è il modo di sentire di parte dell'opinione pubblica, mi fa schifo. Salvini è un grande comunicatore, ma la sua comunicazione è per la gran parte rivoltante e vomitevole. Il Signor Ludovico Caiazza era un delinquente, andava processato e doveva subire una pena esemplare. Il suo suicidio gli ha risparmiato la sua giusta espiazione. Io non riesco a gioire per la sua morte, perché il mio senso morale mi impedisce di far festa per la morte di un qualsiasi uomo, fosse anche un assassino. 
Ma Salvini non ha un senso morale. Lui guarda solo i sondaggi e sa bene che un'uscita come questa, alla pari di tante altre che ha già fatto in passato, porta voti e al diavolo la pietà umana e la sacralità della vita come principio fondante della fede cattolica.
D'altra parte abbiamo già avuto modo di ascoltare ripetutamente il suo pensiero sui temi dell'immigrazione, quindi perché dovremmo stupirci della sua battuta di oggi?   
E la Chiesa? Reazioni? Non pervenute. Invece di controbattere quasi in tempo reale alla ipotesi ventilata da Renzi sulle unioni civili, i Signori Vescovi, Cardinali e Arcipreti, si occupino si stigmatizzare reazioni odiose come quella di oggi di quel pazzo vestito di verde.
Salvini va politicamente fermato, isolato, messo in un angolo.
Non oso immaginare il mio Paese guidato da un folle.
     

venerdì 17 luglio 2015

Grecia, il Risiko di Schaeuble è simile solo alla spocchia di De Laurentiis



C’è un filo nero (come la pece) che unisce due modi di fare che la cronaca, sempre più specchio di società e popoli, ci consegna nelle ultime ore. La spocchia di Aurelio De Laurentiis e il Risiko di Wolfgang Schaeuble.
Il presidente del Napoli Calcio fa come gli pare e nella città che da anni tenta di combattere la camorra mette le mani addosso a chi quella battaglia, in perfetta solitudine e ogni anno con sempre meno mezzi, porta avanti. Il ministro delle finanze di Berlino anziché scrivere elegantemente la parola fine sul caso greco anche dopo che Tsipras ha fatto la ritirata che ha fatto, vuole semplicemente schiacciare il più debole. E continua a improvvisare piani da Grexit a tempo. Come se le stime del Fondo Monetario Internazionale (e non della sezione di Syriza del Pireo) che certificano il fallimento della cura Merkel alla voce debito, fossero noccioline e non analisi reali. E particolarmente preoccupanti. Altro che le europrescrizioni di uno dei padri fondatori, il suo connazionale Adenauer: l’atteggiamento di Schaeuble non è rigorista o fissativo sulle regole, semplicemente è disumano.
I due personaggi in questione sono preda di una sindrome purtroppo frequente nell’epoca post globalizzazione. L’individualismo che distrugge la comunità, la deriva da marchese del Grillo che si fa glaciale dominazione, addirittura elogio della razza ariana e voglia di spazzare via tutti gli altri. Mentre dall’altro lato dell’oceano Papa Francesco spende qualche preziosa parola sul caso ellenico (“bisogna evitare che siano i poveri a pagare le crisi”, curiosamente la stessa traccia del prossimo libro di Yanis Varoufakis), nel vecchio continente va in scena un doppio mortificante teatro. L’avanspettacolo becero di chi, ricco e con una pletora di maggiordomi, sputa ignobilmente su una divisa. E il cinismo di chi, dall’alto di un potentato economico e politico, spinge il pulsante del game over: senza rispetto, senza possibilità di piano B, senza un grammo di umanità.
Forse a Berlino non avranno letto i dati sciorinati dalle numerose ong che hanno deciso dal 2012 ad oggi di spostare dal terzo mondo alla Grecia le loro campagne di interventi mirati. Forse le immagini di ospedali senza garze o senza possibilità di una dieta equilibrata non interessano all’altra faccia della Cancelliera Merkel. Ma la storia insegna che ad essere distanti dal mondo reale si finisce per pagare dazio, oggi o domani, come soprattutto la storia del novecento ricorda proprio in Germania. Anche a causa del fatto, ad esempio, che nel 1953 gli Stati europei (tra cui Grecia e Italia) dissero sì all’haircut per il debito tedesco.
Ha scritto Plutarco in Vita che “così come una bella pittura ricca di sgargianti colori diletta l’occhio, così le azioni virtuose suscitano nell’anima un’ammirazione che presto si traduce in desiderio di emulazione”. Mentre quelle altre azioni sono solo da voltastomaco.

lunedì 13 luglio 2015

N° 1 su Youcanprint !



Ancora una grande soddisfazione. Il mio libro "Pàntaclo" risulta al primo posto nella Classifica dei best sellers di luglio sul sito di Youcanprint, forse la principale piattaforma italiana dedicata alla auto-pubblicazione con migliaia di titoli in catalogo. Che dire? Wow!

sabato 11 luglio 2015

Srebrenica vent’anni dopo, genocidio? Quel che conta è ‘mai più’



La memoria dell’eccidio di Srebrenica, e i sensi di vergogna, pietà, impotenza, che porta con sé, almeno in Occidente, perché altrove sono rabbia, odio, disperazione, non avevano davvero bisogno di essere appesantiti dal dibattito, sterile e provocatorio da ambo le parti, se la tragedia bosniaca sia stata o meno genocidio.
Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu, su questo punto, s’è spaccato: il veto della Russia, chiestole da Belgrado, e l’astensione della Cina, ma anche di Angola, Nigeria e Venezuela, Paesi fra loro diversissimi, ma tutti segnati da storie di confronti interni aspri oltre il limite della guerra civile, fanno emergere per l’ennesima volta i crinali dell’ingerenza umanitaria e dei conflitti etnici e religiosi interni a un Paese.
La Russia ha motivato il veto definendo il documento proposto “non costruttivo, aggressivo e politicamente motivato”. E così la commemorazione del massacro vent’anni dopo diviene un altro capitolo della nuova Guerra Fredda e l’ennesima testimonianza dell’immutabile atteggiamento filo-serbo russo. Ma che un documento dell’Onu lo bolli, o meno, come genocidio, che cambia alla realtà dei fatti?
Chi scrive non ha le competenze di diritto internazionale per esprimere un’opinione sull’applicabilità, o meno, della definizione all’episodio e, più in generale, al conflitto bosniaco. Ma, in fondo, in questo caso come nell’altra recente analoga discussione sull’uso del termine genocidio, partita nel triangolo Turchia-Armenia-Vaticano e rapidamente divenuta universale, quello che conta è mantenere la memoria di quanto accaduto, nutrirne l’orrore e, soprattutto, attrezzarsi perché eventi analoghi non si ripetano.
E, su questo punto, vent’anni dopo, l’umanità non è al riparo da altre tragedie siffatte, o peggiori: l’efficienza dell’Onu non è migliorata, la governance mondiale non s’è dotata d’organi di giudizio e d’intervento efficaci e tempestivi.
Certo, la mobilitazione internazionale per l’anniversario del massacro è impressionante: oltre 90 delegazioni –per l’Italia, la presidente della Camera Laura Boldrini, una che conosce e difende il valore dei diritti dell’uomo-, il presidente Usa del tempo Bill Clinton ed il suo segretario di Stato Madeleine Albright, i leader di tutti gli Stati dell’ex Jugoslavia, l’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue Federica Mogherini assisteranno oggi alle cerimonie ufficiali di commemorazione degli 8000 musulmani sterminati nel luglio 1995 dalle truppe serbo bosniache del generale Ratko Mladic.
E tutto intorno fioriscono iniziative politiche e solidali, Angela Merkel ha portato a Sarajevo il sostegno della Germania all’adesione della Bosnia all’Ue. La Scala vi farà un concerto e il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni vi assisterà.
Il ricordo è ancora vivo; i sensi di colpa dei responsabili e la percezione dell’inadeguatezza di quanti –organismi internazionali e militari delle unità di pace presenti in loco, ma imbelli e inutili- non seppero impedire quanto avvenne sotto i loro occhi sono riconosciuti e palesi.
Le ricostruzioni storiche non sono ancora definitive, anche se è chiaro che il massacro fu una violenza pianificata e che l’Occidente preferì fingersene sorpreso. L’individuazione delle responsabilità non è stata ancora completata, ma Mladic è sotto processo. Però, altre Srebrenica sono ancora possibili, forse stanno avvenendo nel mondo, tra la Siria e l’Iraq, in Nigeria o altrove in Africa, nell’Asia più remota. E la comunità internazionale non s’è dotata di strumenti per impedirle né mostra la volontà di farlo presto: genocidio o meno, piangere i morti può anche essere un atto di ipocrisia; riuscire a impedirli, sarebbe un atto di responsabilità.

martedì 7 luglio 2015

Crisi Grecia, la memoria corta di Berlino



Parlare della crisi greca potrebbe apparire presuntuoso e anche un po’ banale. Ma alcune considerazione provo a metterle in fila. Considerazioni che lego ad alcuni concetti e ad alcune parole chiave. Parto dal concetto di ingratitudine o, si potrebbe dire, della comodità dell’avere una memoria corta.
La signora Angela Merkel, che in queste ore lavora alacremente per la cacciata della Grecia dall’Europa (sorvoliamo sul paradosso di cacciare dall’Europa la terra dove la parola Europa è nata…) e dall’euro a causa della sua insolvenza nel pagare il debito, scorda il passato del Paese che governa. La Germania, per ben due volte nel secolo scorso si è trovata in default. E’ accaduto alla fine dei due conflitti mondiali che la Germania stessa aveva scatenato, provocando non solo la morte di milioni di europei, ma la distruzione di gran parte del Continente. Le distruzioni provocate dalle due Guerre Mondiali hanno determinato, nei trattai di pace, pesantissimi danni di guerra che la Germania doveva pagare agli Stati vittime delle sue aggressioni. Ebbene in entrambi i casi i debiti tedeschi vennero condonati per oltre il 50% e la Germania si salvò dal default. Negli anni ’50 lo scenario è pressoché identico e anche in questo caso i debiti tedeschi vengono abbattuti drasticamente anche dal governo greco dell’epoca, che vantava anch’esso cospicui risarcimenti per i danni provocati dall’invasione nazista e dalla guerra. Senza quell’atto di generosità l’economia tedesca non avrebbe conosciuto la ripresa e poi il miracolo. Un miracolo economico che è stato pagato in buona parte dai cittadini europei che la Germania aveva fatto a pezzi. Oggi quel passato sembra non ricordarlo nessuno.
Secondo elemento che si prende scarsamente in considerazione in queste ore di chiacchiere a ruota libera sulla Grecia, è quello che riguarda il modo in cui si è determinato il debito greco. Il luogo comune che i media hanno fatto passare è quello dei greci spreconi e nullafacenti, che vogliono vivere sulle spalle dei laboriosi tedeschi. Vediamo se è esattamente così.
Per capire cosa è successo bisogna partire da un giochino finanziario che fanno molte banche. Raccolgono il risparmio dai cittadini e con quei fondi acquistano titoli, molti acquistano titoli di stato. Ovviamente i titoli dei paesi più deboli e quindi più a rischio sono i più remunerativi e fruttano interessi più alti. I titoli greci, vista la debolezza dell’economia ellenica, pagavano circa il 15% di interessi.
Chi ha acquistato gran parte del debito pubblico greco? Ovviamente le banche tedesche, e in una certa misura quelle francesi e poco quelle italiane. Con quali denari le banche tedesche hanno fatto l’acquisto? Con i soldi dei risparmiatori tedeschi e senza spendere un euro, visto che il costo del denaro in Germania è ridottissimo. I banchieri di Berlino hanno quindi intascato quasi interamente l’interesse pagato dalla Grecia per anni. Quando Atene è entrata in crisi sono arrivati gli aiuti europei. Aiuti alla Grecia? Assolutamente no. Aiuti alle casse delle banche tedesche che dovevano continuare ad incassare i loro interessi sui titoli greci. Su 250 milioni di euro di aiuti, 230 sono stati usati per pagare gli interessi dei titoli di stato. Soldi che non sono neppure transitati da Atene, ma sono andati direttamente nei forzieri germanici. Altro che pagare le pensioni e l’allegra spesa pubblica greca. I soldi dell’Europa (quelli che oggi la Grecia non può restituire) li hanno mangiati le banche di Berlino e Francoforte. Non so come si chiama in termini di alta finanza, ma noi cronisti di basso rango definiamo questo metodo con un solo termine: usura.
La domanda che andrebbe posta oggi di fronte a questa condotta scandalosa è semplice. E’ questa l’Europa che dobbiamo difendere? E’ ammissibile che a guidare le sorti del Continente debbano essere gli interessi di pochi banchieri sostenuti da una leadership politica che predica concetti economici come quello dell’austerity che sono palesemente fallimentari secondo il giudizio espresso dai maggiori economisti del pianeta? Va detto che forse una maggiore democrazia e una maggiore distribuzione del peso politico all’interno dell’Unione sarebbe la prima strada per porre in essere politiche economiche e sociali diametralmente opposte a quelle attuate. Politiche che hanno condannato l’Eurozona ad una crisi permanente, mentre le altre aree del pianeta, usando politiche opposte all’austerity, sono uscite da tempo dalla crisi e vivono una stagione di crescita. Tutte le volte che la Germania ha avuto la pretesa di guidare l’Europa ha portato a immani catastrofi. Forse la leadership tedesca porta sfiga o forse è il caso che la storia ci insegni qualcosa.

8 Marzo, FESTA DI TUTTE LE DONNE